È possibile attivare il lettore automatico selezionando la parte di testo interessata
Nonostante gli sforzi, le culle rimangono vuote. O almeno, questo è il rischio. Alla fine dello scorso anno, il 28 e 29 settembre, si è tenuta a Roma la terza Conferenza Nazionale della Famiglia. Un evento importante, quello organizzato dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale sulla famiglia, fondamentale per dibattere e ragionare sul ruolo della famiglia in un contesto sociale sempre più incerto, indefinito, liquido. Il tutto alla presenza del premier Gentiloni, del ministro dell’Economia Padoan e dell’Istruzione Fedeli, del presidente della Camera Boldrini e di Virginia Raggi, sindaco di Roma. Cinque i temi trattati da altrettanti gruppi di lavoro, sotto il coordinamento del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla famiglia: centralità del ruolo delle famiglie come risorse educative; crisi demografica e rapporto fra il quadro nazionale e le tendenze internazionali; evoluzione della famiglia fra diritto e società; proposte e prospettive per un fisco a sostegno delle famiglie; armonizzazione famiglia-lavoro e nuove politiche di welfare. Proprio su quest’ultimo tema è intervenuta l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII che, attraverso il proprio referente nazionale del Servizio Famiglia e Vita Enrico Masini, ha presentato una dettagliata proposta al fine di dare un sostegno, concreto, a tutti quei genitori che si impegnano quotidianamente nel cercare di crescere i propri figli. E che cerca di combattere una società che, ad oggi, pare disincentivare la costruzione di famiglie e il mettere al mondo dei bambini. A distanza di quattro mesi da questa proposta, e a Legge Finanziaria approvata, si è mosso qualcosa? O la voce della comunità di don Oreste Benzi è rimasta inascoltata?
Culle… in deficit
Il punto di partenza per la riflessione sulla situazione attuale delle famiglie italiane è da individuare nei dati che l’Istat ha pubblicato nell’agosto scorso e relativi al primo trimestre del 2017. Dati che scattano una fotografia ben precisa: in Italia ci sono sempre meno nascite. Rispetto al 2016, le morti sono aumentate del 15% mentre le nascite continuano a scendere (-2,6%), il tutto risultando in un saldo negativo di 346mila unità. Un nuovo record negativo, che rappresenta un vero e proprio deficit tutto nazionale.
Reddito di inclusione
Nel proprio intervento, Masini ha fatto riferimento al reddito di inclusione. In Italia infatti, per le famiglie con Isee non superiore ai 6mila euro, e dando la priorità a quelle in cui vi siano figli disabili o minorenni, donne in gravidanza e disoccupati sopra i 55 anni, è possibile beneficiare di un assegno mensile di importo variabile (da 190 a 485 euro), per un massimo di 18 mesi. Uno strumento che lo stesso premier Gentiloni ha definito come “uno strumento importante alla lotta alla povertà”, auspicandone poi un arricchimento in Legge di Bilancio. Nello specifico, per quanto riguarda le donne in gravidanza, sappiamo che “almeno per i primi tre mesi dalla nascita di un figlio – afferma Masini – c’è la maternità obbligatoria. In quel periodo è vietato lavorare”. Nella pratica, quindi, quello della nascita di un figlio è un periodo in cui lo Stato e le istituzioni non danno alcun sostegno economico ai neo-genitori. Ovvia conseguenza: se manca una qualsiasi ulteriore fonte di reddito, il già faticoso tempo da dedicare alla cura del neonato rischia di diventare insormontabile, tanto da far pensare che il non fare figli sia la soluzione più ovvia. “Da un lato è interessante notare – continua Masini – come la gravidanza, grazie a questa possibilità di sostegno economico, sia diventata un fattore di inclusione. Dall’altro lato, però, sembra che non lo rappresenti per il periodo immediatamente successivo, quello del parto e dei primi mesi di vita”.
Per incentivare le nascite, dunque, non basta sostenere economicamente una donna durante la gravidanza, ma occorre fare di più, aiutando i neo-genitori anche dopo la nascita di un figlio. Come?
Riconoscere il “lavoro di cura”
Da queste riflessioni, la Comunità Papa Giovanni XXIII è arrivata ad individuare una soluzione precisa: riconoscere, valorizzare e regolamentare il “lavoro di cura”, ossia tutto ciò che una madre, o un padre, devono fare quotidianamente per crescere e accudire i propri figli appena venuti al mondo. “La base di partenza – ha puntualizzato Masini – è quella di riconoscere ai genitori il ‘lavoro di cura’, in primis alla madre. Perché è un lavoro vero. Ma, ad oggi, non è retribuito e non ha contributi pensionistici. Il primo passo è dunque riconoscerlo come un lavoro vero: donne (e uomini) lavoratori che si dedicano all’accudimento dei figli, compito fondamentale per la nostra società. La proposta che sosteniamo come Comunità Papa Giovanni XXIII è quella di un reddito minimo di 800 euro al mese, a partire dalla gravidanza e che arrivi fino ai 3 anni di vita del bambino”.
Proposta ascoltata?
La voce della Comunità fondata da don Oreste, però, è stata tenuta in considerazione? Oppure è rimasta inascoltata? È lo stesso Masini a raccontarne gli sviluppi. <+cors>“È una proposta forte quella che abbiamo portato alla Conferenza della Famiglia a Roma, una proposta che già avevamo formulato l’anno precedente per bocca del nostro presidente Giovanni Paolo Ramonda.
Una proposta che: da una parte è volta a garantire la libertà di tutti, a prescindere dal reddito, di poter scegliere di diventare genitori; e, dall’altra, di combattere lo scoraggiamento diffuso nel voler mettere al mondo dei bambini e il concetto che un bambino deve arrivare solo quando la carriera è a posto, con il risultato che si arriva ad un’età tale che il figlio può non arrivare più. Questo è proprio uno dei fattori determinanti del crollo demografico registrato negli ultimi anni. E attenzione: ciò non significa che le donne non debbano lavorare, ma che possano scegliere liberamente di dedicare un periodo della propria vita al ruolo materno. E questo deve essere riconosciuto almeno come un lavoro (sappiamo che è molto di più di un semplice lavoro), dal punto di vista retributivo e contributivo”.
Avete avuto un responso positivo, in questo senso? “Purtroppo la Conferenza è stata una grande delusione. Anche solo nelle conclusioni finali, non è stato dato molto spazio alle proposte che abbiamo presentato nei gruppi di lavoro, se non in piccolissima parte. Già in quell’occasione la nostra proposta è stata censurata. Anche il Ministro delle Finanze, invitato proprio allo scopo di coinvolgerlo in modo propositivo sul dibattito sulle condizioni delle famiglie italiane, ci chiese un sacrificio, legato alla difficile situazione economica nazionale. Lo stesso Gentiloni, che aveva aperto sulla possibilità di allargare il reddito di inclusione anche ad altre fasce, ci ha portato poi a constatare come nell’ultima Legge Finanziaria non solo non siano aumentati i fondi a disposizione delle famiglie ma, addirittura, siano stati tagliati. Lo stesso assegno di maternità è stato dimezzato rispetto a ciò che era stato stanziato inizialmente. Stiamo andando nella direzione sbagliata”.
E ora, che fare? “Sollecitiamo le istituzioni, che si apprestano a candidarsi alle prossime elezioni, a tenere in massima considerazione le proposte che abbiamo elaborato e diffuso a tutte le forze politiche, per portare a un’inversione di tendenza una situazione demografica che possiamo definire drammatica”.
Simone Santini