È stato il primo atleta riminese a partecipare a un’Olimpiade invernale. Il primo italiano a salire sul podio del circuito Grand Prix. Da tre anni, insieme a Nicole Della Monica, è il padrone incontrastato del ghiaccio “artistico” di casa. È passato da una vita agiata su quattro ruote all’adrenalina della lama. Dal pattinodromo di via Lagomaggio alle passerelle di alta moda a Milano. Una vita sempre in cresta quella di Matteo Guarise che in queste ore è impegnato nei campionati Europei.
Giusto il riassunto?
“Più o meno. Volendo fare il pignolo diciamo che le sfilate sono state prima del ghiaccio. Una volta scoperto quello, non l’ho più mollato. Ma ripeto, volendo proprio trovare il pelo nell’uovo”.
Allora partiamo dall’inizio. Di solito i bambini scelgono il calcio o il basket, perché proprio il pattinaggio?
“Probabilmente perché l’avevo nel sangue anche se nella mia famiglia nessuno ha mai pattinato. Aggiungiamoci che sono nato a meno di cento metri dal pattinodromo di via Lagomaggio e ogni pomeriggio quando uscivo vedevo questi ragazzi divertirsi un mondo, fare salti, piroette, andare veloci e così mi sono appassionato e all’età di quattro anni sono salito per la prima volta sulle rotelle”.
Come è stato?
“Bellissimo. Nonostante fossi così piccolo ho subito capito che quello sarebbe stato il mio sport. E così è stato. Ho iniziato da single, sono finito in coppia”.
E che coppia! Con Sara Venerucci avete vinto tutto quello che c’era da vincere: campionati Italiani, Europei e ben quattro Mondiali. Vi chiamavano i “predestinati”. Perché siete scoppiati?
“Quegli anni sono stati bellissimi, con Sara ci siamo tolti grandissime soddisfazioni mantenendo le promesse anche nel passaggio da Junior a Senior. Nel 2008, infatti, abbiamo vinto il Mondiale tra i grandi dopo tre titoli tra i «piccoli». E sì, avevamo un futuro radioso, ma ad un certo punto mi sono fermato a riflettere. Forse l’aver vinto tutto da così giovane, forse un calo di stimoli, non so con precisione, sta di fatto che ho deciso di appendere i pattini al muro e tentare un’altra avventura”.
Dalle piste alle passerelle dell’alta moda.
“Esattamente. Ho avuto la fortuna di fare qualche scatto fotografico che è piaciuto e senza neppure accorgermene mi sono ritrovato a Milano a lavorare per Versace e Bikkemberg”.
Eppure anche in questo caso nonostante viaggi, popolarità, denaro e belle donne ha nuovamente mollato tutto quando la rampa era pronta per il salto.
“Diciamo che mi sono reso conto che la moda è un mondo un po’ spericolato, non puoi starci dentro a metà. Non te lo consente. O sei totalmente suo o rischi grosso. Io, invece, ho sempre cercato di vivere una vita da atleta perché mi sono sempre sentito tale. Diciamo che gli orari dei due mondi non coincidevano e neppure lo stile di vita e quindi ho preferito seguire il mio istinto”.
A vedere quello che è successo non le è andata male.
“Assolutamente no, ma non è stato facile come qualcuno può pensare. Quando mi sono «convertito» dalle ruote alla lama ho dovuto iniziare tutto da capo perché sono due discipline completamente diverse. Ne dico una per tutte, forse la più banale: la stabilità. Sul ghiaccio rischi di scivolare ogni istante, cosa che sulle rotelle non accade se non quando fai qualche evoluzione. Comunque, sistemate un po’ di cose mi sono trasferito in America insieme alla mia partner, ma non è andata come speravamo. Diciamo che non c’era il feeling giusto. Poi, quando stavo per mollare, è arrivata Nicole e con lei è scattata subito la scintilla. Fin dalle prime pattinate le sensazioni erano buone. Più lavoravamo e più vedevamo che i risultati arrivavano e ci davano forza”.
Tre titoli Italiani di coppie Artistico, un podio storico all’Internationaux De France e un’Olimpiade sfortunatissima.
“A livello di ranking italiano siamo i numeri uno nella nostra disciplina che, a scanso di equivoci, è ben diversa dalla danza. A novembre abbiamo conquistato questo terzo posto nel Grand Prix, cosa che non era mai accaduta a una coppia italiana, un qualcosa di storico. E sì, diciamo che forse l’unico rammarico sono le Olimpiadi di Sochi. Purtroppo negli Europei precedenti mi ruppi il menisco. Operarsi avrebbe significato dire addio a quel sogno, ho stretto i denti, ma durante gli esercizi, soprattutto nei sollevamenti e negli slanci, l’infortunio è stato determinante. Ma il contorno ne è valsa la pena”.
A proposito, se le dico venerdì 9 febbraio 2018 cosa le viene in mente?
“Le Olimpiadi di PyeongChang, facile. Sarà un’altra grandissima avventura e non vedo l’ora di poterla vivere. La sfilata iniziale sotto il Tricolore, il villaggio olimpico, l’adrenalina della gara… L’unico inconveniente (ride) è che le coppie più forti non sono andate in pensione e quindi sarà durissima, ma io e Nicole abbiamo un nostro obiettivo”.
Che sarebbe?
“Raggiungere e superare i 200 punti. Se ci riusciamo, siamo certamente tra le coppie top, su questo non ci piove”.
Un sogno che state cercando di raggiungere con un allenamento massacrante.
“Senza lavoro, senza fatica, senza disciplina non si va lontano. Abbiamo dieci sedute da due ore l’una a settimana: prima il lavoro a terra, poi sul ghiaccio. In più la palestra perché per fare le alzate, gli slanci servono anche i muscoli. Infatti quando mi chiedono di questo sport, dico sempre che è uno dei più completi che ci siano perché sviluppi tutta la tua muscolatura, almeno dal punto di vista dell’uomo. Un lavoro duro diviso tra Milano e Mosca dove abbiamo fatto diversi stage”.
Un’ultima domanda, volendo farci un po’ gli affari suoi: ma si riesce a vivere di pattinaggio su ghiaccio?
“Sarei un bugiardo se dicessi di no. È logico, non arriviamo alle cifre iperboliche che prendono i calciatori, ma qualche soddisfazione ce la prendiamo anche noi. Soprattutto grazie agli spettacoli, quando entri nella top five vieni chiamato spesso e lì sono soldi. Poi ci sono altre entrate elargite dalla Federazione, insomma non mi lamento”.
Francesco Barone