Miei cari Fratelli e Sorelle della nostra cara e bella Chiesa di Rimini,
e voi tutti carissimi Uomini e Donne di buona volontà, è il decimo Natale che il Signore mi dona di trascorrere qui con voi. Vi dico la verità: anche quest’anno faccio fatica a formulare questi doverosi ma, credetemi, molto sentiti auguri. Vorrei deporli nel vostro buon cuore con la limpida letizia che mi provoca una festa così dolce, e, insieme, con l’intrattenibile cordialità che mi ispira la vostra frequentazione. Eppure la fatica di scrivervi mi rimane. Sarà forse perché non vorrei andare in automatico con il messaggio davvero rivoluzionario che il Natale ci veicola. Pensate, c’è da rimanere senza fiato: neanche Dio ce la fa a stare solo! Neppure lui riesce a godersi quel mare di felicità che si ritrova. E allora il vertiginoso sogno di condividerla e, d’altra parte, l’insopprimibile bisogno di spartire con noi – e specialmente con i suoi figli più poveri – il sapore amaro delle nostre lacrime lo ha spinto a piantare la sua tenda su questa “aiuola che ci fa tanto feroci”.
Dicevo dei poveri. Ma vorrei dirvelo con un riferimento preciso e concreto. Qualche domenica fa – era il 19 novembre scorso – abbiamo vissuto a Rimini la prima Giornata Mondiale dei Poveri, indetta dal grande cuore di papa Francesco. L’evento più importante è stato il pranzo condiviso nella chiesa di sant’Agnese in Rimini con circa 300 persone, che vivono di stenti: senza tetto, senza cibo, senza lavoro, senza soldi, senza medicinali. Mentre servivamo il pranzo, insieme a circa 50 volontari, mi veniva da pensare: questa è una giornata di condivisione, ma per la condivisione delle nostre giornate. Bene, tra poco più di un mese – mi dicevo – sarà Natale. E tutti questi miei/nostri fratelli e sorelle dove andranno a pranzare quel giorno? Certo, ci sarà la mensa della Caritas diocesana, la mensa di Santo Spirito e qualche altra opportunità in Diocesi. Ma non sarebbe più bello se almeno per un giorno ognuna/o di queste/i sorelle e fratelli potesse essere accolto presso una famiglia e condividere la gioia di una giornata così speciale? Ci si potrebbe rivolgere anche alla propria Caritas parrocchiale dove già si aiutano molti poveri e dove è possibile collaborare portando vestiti, coperte e alimenti, chiedendo i nomi di chi invitare in casa al pranzo di Natale; portando offerte; offrendo solidarietà e collaborazione.
Un giorno il Bambino di Betlemme ci dirà: “Ero affamato, assetato, straniero, nudo, malato o in carcere, e voi mi avete – o non mi avete – amato e servito”. Certo noi cristiani incontriamo Gesù nella Messa di Natale. Ma se poi non lo riconosciamo nei poveri, lì dove essi si ritrovano prostrati, ai margini delle strade, nelle periferie più estreme, nei sotterranei della storia, noi aggraviamo la nostra condanna. La Messa non ci può servire da tranquillante per farci sentire a posto, ma ci deve risultare di provocazione per abbracciare chi si ritrova impastoiato in qualsiasi tipo di povertà. Da quella che costringe a saltare quasi ogni giorno i pasti a quella che induce a indossare vestiti laceri e sporchi, o ad andare in giro con le scarpe sfondate e a dormire sotto i ponti e dentro i cartoni. E quella che impedisce di comprare le medicine per curarsi, o il biglietto del treno per andare a trovare i propri familiari, o un mazzo di fiori da portare sulla tomba dei propri cari. E quella ancor più spietata che degenera in delusione e disperazione, al limite in violenza. O quella che non riconosce il diritto a frequentare la scuola, ad imparare le parole adatte per chiedere aiuto o per rivendicare i propri sacrosanti diritti.
Mi domando se questa proposta, formulata così, farà rabbia o tenerezza. Susciterà qualche sorrisino di disprezzo o qualche sussulto di solidarietà. Provocherà discredito o farà scattare l’impegno. Che ne dite: devo abbassare il tiro? No, miei cari amici, compagni e fratelli, io, vostro Vescovo, non me la sento di mollare. È perché voglio stimolarvi ad andare controcorrente. È perché voglio invitarvi a stare nella crisi attuale senza rassegnazioni supine. È perché voglio esortarvi a recuperare un genere diverso di vita, più gustoso e saporito.
È per questo che vi auguro un Natale davvero buono, e buono perché vero!
Francesco Lambiasi