Sono sempre più complesse le situazioni di povertà in Emilia-Romagna. Numeri, volti e storie in cui alla indigenza economica vera e propria si sommano tutta un’altra serie di problematiche, come crisi familiari, dipendenze, problemi di salute mentale e guai di tipo giudiziario.
È il quadro dipinto in occasione della presentazione (il 20 ottobre) del 7° Dossier sulle povertà della Caritas Emilia-Romagna. Alla base (approfondimenti sul sito www.report-er.it) quella enorme e preziosa mole di informazioni e dati raccolta grazie ai Centri di Ascolto Caritas, prima “antenna” del fenomeno sul territorio.
Cerchiamo di cogliere gli aspetti essenziali del report, che analizza i dati dal 2004 al 2016, insieme a Isabella Mancino , referente degli Osservatori Caritas, nonché responsabile dell’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana riminese.
Isabella, come cambia la povertà?
“I cambiamenti riscontrati nei dodici anni considerati sono diversi. Innanzitutto, le persone incontrate sono prevalentemente adulte, con un aumento importante di giovani, passati dal 4,9% nel 2004 al 24% nel 2016. Secondo aspetto, non ci sono più solo i senza dimora, ma anche coloro che possiedono un’abitazione, ma non sono in grado di far fronte alle spese: questi ultimi sono passati dal 47 al 61,8% nello stesso arco di tempo. Inoltre, i poveri non sono più solo disoccupati, ma anche coloro che hanno un impiego, che, tuttavia, non offre garanzie, perché saltuario, poco remunerativo, occasionale”.
Con il tempo quindi i fatti sembrano smentire alcuni “luoghi comuni” del fenomeno povertà…
“Proprio così, e lo dimostra anche un altro dato: nel 2004 su 10 persone incontrate, solo 2 erano italiane, oggi sono 3,5; in particolare sono aumentati gli uomini italiani, adulti, in prevalenza celibi, separati o divorziati. Inoltre,
i poveri non sono più solo persone sole, ma anche famiglie con minori, con figli adulti disoccupati, con familiari ammalati, che non sanno a chi chiedere aiuto e si rivolgono alla Caritas (dal 33,5% nel 2004 al 47,2% nel 2016)”.
E gli stranieri?
“Accanto ai migranti arrivati in Italia per cercare un lavoro, aumentano le persone che scappano dalla propria terra perché questa non è più nelle condizioni di offrire pace, acqua, cibo, futuro. Gli africani sono passati dal 19,9 al 35,2% e gli asiatici (perlopiù dal Medio Oriente) dal 2,2 al 5,5%”.
Il Dossier parla di povertà cronicizzate: in che senso?
“Aumenta il numero di persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto di anno in anno: il 51,7% delle persone seguite nel 2016, erano già state incontrate in passato. In particolare, per le persone già adulte è più facile rimanere intrappolate nella povertà, a causa anche dell’impossibilità di ricollocarsi nel mondo del lavoro. Inoltre, i poveri non sono più solo coloro che vivono da sempre in famiglie di classi sociali basse, ma anche persone che non sono riuscite ad adeguarsi ad una riduzione della propria capacità di spesa perché magari vissute fino a prima in ambienti agiati e incapaci di modificare i propri stili di vita”.
Come interviene la Caritas di fronte a queste situazioni così complesse e variegate?
“Il sostegno concreto avviene su più fronti. Rispetto al tema del lavoro, ad esempio, sono nati progetti innovativi che vedono le Caritas impegnate nel re-inserimento di soggetti fragili: attivazione di tirocinii, convenzioni con datori di lavoro, voucher, ma anche corsi di formazione professionale e soprattutto coinvolgimento di tutto il territorio nell’attenzione e nell’integrazione occupazionale di coloro che troppo spesso vengono lasciati ai margini. Sono oltre 450 le persone che in Emilia-Romagna che hanno trovato occupazione grazie ai progetti attivati dalle Caritas diocesane”.
Sul problema della salute invece cosa è emerso?
“Sono aumentati i casi di famiglie costrette a scegliere se pagare la bolletta o curarsi. Ci sono ancora persone che non godono del diritto universale alla salute (italiani privi di residenza anagrafica, comunitari con tesserino sanitario scaduto, immigrati che non sono riusciti ad ottenere il tesserino). In risposta, sono nati, o si sono intensificati ove già presenti, ambulatori sociali che vedono impegnati medici, infermieri e farmacisti”.
L’attenzione allo spreco del cibo è un’altra priorità.
“Sì, una risposta sono gli Empori solidali (un tipo di supermarket dove è possibile fare la spesa senza soldi, con criteri di accesso ben definiti, nato anche a Rimini), ma anche dispense solidali (ove si recupera cibo già cotto e si redistribuisce a domicilio). Progetti nati spesso in sinergia con altre associazioni del territorio, che hanno quindi permesso di innescare circuiti solidali”.
Tra i poveri aumentano i profughi: come assisterli?
“Il problema maggiore in questo caso è che, terminati i progetti, pur avendo ricevuto un Permesso di Soggiorno, queste persone non sanno dove andare e a chi chiedere aiuto. Le strade di intervento da percorrere sono ancora tante e lunghe, ma quella su cui si è tutti concordi è che per fare accoglienza è necessaria l’integrazione in tutte le realtà del territorio. Stanno nascendo progetti di accoglienza di piccoli gruppi, in parrocchie, famiglie o gruppi di famiglie. Progetti che vedono coinvolte scuole, sport, datori di lavoro, parrocchie, associazioni, ecc. e che danno ottimi risultati”.
Qual è il rapporto tra Caritas e Servizi sociali nel fornire una risposta adeguata alle situazioni di povertà?
“I rapporti tra assistenti sociali e operatori dei Centri Ascolto sono costanti per quel che riguarda i singoli casi, mentre non sempre sussistono convenzioni o progetti specifici che permettano una continuità e una vera e propria collaborazione di più ampio respiro. La nascita delle èquipe multidisplinari per l’attivazione di misure a contrasto della povertà come SIA (Sostegno Inclusione Attiva) o RES (Reddito di Solidarietà), non ha purtroppo riscontrato le aspettative di una maggior integrazione tra pubblico e terzo settore, resta piuttosto più usuale la strada della delega”.
Le risposte delle Istituzioni sono efficaci?
Le recenti misure avviate dallo Stato e dalla Regione (SIA, L.R 14\2015, RES) rappresentano un primo passo nella direzione della presa in carico delle povertà, tuttavia è necessario che vengano inserite in un piano organico di lotta alla povertà che impegni il Governo e la Regione a raggiungere nei prossimi anni – in maniera incrementale – tutto il target di povertà assoluta, raggiungendo il fabbisogno di circa 7 miliardi di euro (la legge di bilancio 2018 prevede per ora 2 miliardi, raggiungendo solo 1,8 milioni di persone in povertà assoluta, contro i 4,8 milioni che vivono in questa condizione)”.
In quale direzione muoversi, dunque?
“Uno dei fondamenti di queste nuove misure è che il contributo economico sia unito ad un percorso di inserimento sociale e lavorativo che permetta ai beneficiari di uscire da una condizione di disagio economico e di provvedere autonomamente alle proprie necessità. La parte attiva delle misure è essenziale per poter valutarne l’efficacia”.
Quale sfida attende le Caritas alla luce di questi cambiamenti e di queste necessità?
“È in realtà una sfida che ci impegna come società intera: spostare il focus del nostro operato dalle persone alle comunità. È necessario recuperare una dimensione di solidarietà diffusa in cui il compito della cura non sia delegato solo ai professionisti, ma sia portato avanti, con l’aiuto dei professionisti, dalle comunità. È necessario superare la logica del «un noi e un loro», di qualcuno bisognoso di aiuto e qualcuno che aiuta, ma progetti che cerchino concretamente di costruire un nuovo modello di società basata su un’economia di relazione e prossimità. Questa dinamica arricchisce le comunità e le può portare a ripensare la qualità delle nostre relazioni, alla disponibilità, all’accoglienza o al nostro rapporto con il denaro e i consumi.
Paradossalmente in questa crisi, in cui ci ritroviamo tutti più fragili, possiamo cogliere l’occasione di riscoprirci tutti prossimi gli uni degli altri e quindi tutti ugualmente responsabili della città dell’uomo”.
a cura di Alessandra Leardini