All’Opera di Roma la divertente commedia musicale di Auber utilizza una innovativa scenografia realizzata con stampanti in 3D
ROMA, 17 ottobre 2017 – Non a tutti è noto che Fra Diavolo, l’esilarante film del 1933 con Stanlio e Ollio, altro non è che la trasposizione cinematografica dell’omonima opéra-comique di Daniel Auber, andata in scena a Parigi quasi un secolo prima, nel 1830. Del resto, al di là di qualche piccola variante iniziale per giustificare la presenza dei due comici poi arruolati dal protagonista (il brigante Fra Diavolo, appunto), il plot è rimasto pressoché lo stesso. Lo si può verificare in questi giorni a Roma, dove adesso l’opera è in programmazione. Certo è difficile ottenere la stessa rendita comica suscitata dalla voce di Ollio – con il valore aggiunto del doppiaggio di Sordi – mentre canta lo spiritoso il motivetto Quell’uom dal fiero aspetto, che ritornerà più volte, ma ascoltare Fra Diavolo è un’esperienza appagante e ci si diverte davvero.
Titolo di rarissima esecuzione in Italia, nonostante la vicenda s’immagini a Terracina, lo spettacolo visto al Teatro dell’Opera riattiva le nostre memorie cinematografiche: non solo dell’irresistibile coppia comica, ma anche quelle legate alla commedia all’italiana, cui in qualche modo la visualità rende omaggio. Il regista Giorgio Barberio Corsetti, che già anni fa con La pietra del paragone di Rossini aveva mostrato come si possa fare un intelligente uso della multimedialità, sperimenta anche in questo caso nuove tecnologie e per realizzare le scene (in collaborazione a Massimo Troncanetti) si serve di stampanti in 3D – una novità che apre orizzonti inediti e, fino ad ora, inimmaginabili – utilizzando un materiale biodegradabile, ricavato dal mais. Al di là della scelta ecologicamente sostenibile, il risultato è dei più felici, perché la combinazione con le immagini video porta a soluzioni davvero spiritose: dalla spider rossa alla mongolfiera che si materializza all’improvviso, dalle acrobazie dei carabinieri all’acqua che sale – pesci compresi – fino alle pistole che, quando sparano, lasciano la scritta “bang”, come nei fumetti. Vengono colti e valorizzati, così, i numerosi spunti comici, mentre i tre atti procedono a un ritmo scoppiettante: l’ideale per il vorticoso andamento del libretto di Scribe.
Nell’esecuzione romana è stata proposta la variante in lingua francese, dove però i dialoghi parlati sono sostituiti dai recitativi accompagnati – provenienti dalla versione italiana – in un ibrido che comunque funziona. Merito anche del giovane Rory Macdonald, sul podio, che riesce a far suonare molto bene l’orchestra del Teatro dell’Opera (ottoni intonatissimi), anche se qualche volta corre il rischio d’imprimere un andamento lievemente meccanico alla musica. Il direttore valorizza opportunamente la disinvoltura di Auber nel mescolare diversi stili, anche se il debito principale resta nei confronti di Rossini, a cominciare proprio dal rullo iniziale della grancassa, che sembra provenire direttamente dalla sinfonia della Gazza ladra.
Nei panni di Fra Diavolo, il brigante che si spaccia per un marchese in modo da trarre più facilmente in inganno i ricchi che vuol derubare, il tenore John Osborn è strepitoso non solo nel canto, ma efficacissimo anche sul versante scenico: con la sicurezza che il pieno controllo dei mezzi vocali gli consente, disegna un personaggio scanzonato e spavaldo, assolutamente irresistibile. Accanto a lui l’aristocratica coppia inglese era formata dalla Lady di Sonia Ganassi, una bionda anni sessanta spiritosissima nel condurre il gioco teatrale, e da Roberto De Candia, un Milord invece con qualche problema di pronuncia francese e tenuta vocale. La coppia popolana poteva contare su Anna Maria Sarra e Giorgio Misseri: la prima è una vistosa Zerlina, che però non canta la famosa aria Or son sola, al fin respiro incisa da tante virtuose, ma quella meno impegnativa della versione francese; lui è il carabiniere Lorenzo, suo innamorato: un tenore dall’emissione facile e sicura. Bravi i comprimari: Alessio Verna, l’oste Matteo, e i due complici del brigante, Jean Luc Ballestra e Nicola Pamio, rispettivamente Giacomo e Beppo. Uno spiritoso contributo è venuto anche dalle coreografie di Roberto Zappalà. E poco importa se il finale viene modificato: in fondo non è un arbitrio eccessivo uccidere il protagonista (dovrebbe essere, invece, solo arrestato), ma un modo per ribadire che un’epoca è davvero finita e un certo genere di personaggi – Fra Diavolo è realmente esistito – sono scomparsi. Definitivamente.
Giulia Vannoni