Condivisa l’ovvia preoccupazione per il futuro occupazionale dei dipendenti, lo scenario di un punto vendita riminese di un discount in una delicata fase di crisi aveva un che di surreale e straniante. Ampie distese di scaffali vuoti intervallati da raggruppamenti di articoli più o meno forniti. Per qualche genere la scelta era quanto mai limitata, ad altro bisognava proprio rinunciare. Ma a mani vuote non si usciva perché qualche articolo qua e là lo si trovava comunque. Abituati a supermercati ridondanti dove c’è di tutto e di più, in qualsiasi formato e a qualsiasi prezzo, dover invece ragionare per sottrazione dava comunque una curiosa sensazione. Sarà per il DNA dall’essere nato in una domenica di austerity ma mi veniva da chiedermi – ferma restando la non paragonabilità tra la guerra e un supermarket in difficoltà – come doveva essere quando i nostri nonni hanno dovuto fare i conti con le risorse razionate. Poi alla cassa arriva una signora che, dopo una parola di incoraggiamento per gli incolpevoli dipendenti (“tanto state fallendo, si vede”) lascia giù il carrello vuoto e se ne va piccata (“qua non c’è niente, la spesa la faccio da un’altra parte”). Lungi da me chiedere l’età alla signora. Ma probabilmente è nata negli anni del boom.
Il Caffè Scorretto di Maurizio Ceccarini