La Terra Santa, il luogo dove ogni giorno si può fare memoria della vita di Gesù Cristo. A custodire quei luoghi sono da 800 anni i Francescani, che sotto la guida del custode di Terra Santa, cercano non solo di custodire la memoria di Cristo ma di viverla. A testimoniarci questa presenza è stato durante la 38esima edizione del Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, Padre Francesco Patton, dal maggio 2016 custode di Terra Santa.
Qual è il nesso tra il titolo del Meeting di quest’anno e l’esperienza dei francescani in Terra Santa?
“Noi che adesso siamo lì, ci accorgiamo che la memoria del passato non è sufficiente, ma ci vuole sempre una responsabilità personale. Ogni generazione è chiamata a fare propria questa responsabilità. Nella mostra allestita qui al Meeting sulla Terra Santa c’è una selezione di immagini che raccontano la nostra presenza in Terra Santa: è una memoria dei luoghi e nei luoghi. I luoghi portano la memoria della redenzione e dell’incarnazione. C’è anche la memoria dei tanti cambiamenti, dell’identità cristiana che convive con mussulmani ed ebrei. Ci sono le pietre vive della Terra Santa, cioè i cristiani che vivono lì. Ogni generazione di Francescani ha da compiere il ruolo di riguadagnarsi quello che i padri hanno lasciato”.
Quali sono i passi dei Francescani in Terra Santa?
“I primi frati sono arrivati nel 1217 guidati da Fra’ Elia da Cortona, arrivato oltremare con il sogno di annunciare il Vangelo. Nel 1219 è Francesco d’Assisi che durante la quinta crociata arriva a San Giovanni d’Acri, poi va in Egitto per incontrare il sultano, supera il confine tra il campo crociato e il campo mussulmano. Riuscirà poi a camminare sulla terra su cui hanno camminato Gesù e gli apostoli. Francesco potrà visitare il Cenacolo e il Santo Sepolcro. Per Francesco tutto questo è stato importante. Nel 1220 lascerà la regola non bollata, dandoci anche una regola di metodo”.
In che cosa consiste il metodo che vi ha insegnato San Francesco?
“Siamo chiamati ad andare in mezzo all’altra gente. Possiamo annunciare il Vangelo senza dispute, con spirito di servizio e con un’identità chiara che non nasconde se stessa. Nel 1342 papa Clemente VI scriverà una bolla in cui affiderà ai Francescani di allora il compito di stare nei santuari celebrando messe e uffizi, cioè per dare lode a Dio. Oggi 270 frati di più di 40 nazionalità diverse si prendono cura dei 70 santuari presenti in Terra Santa. Oggi occorre che stiamo nei santuari affinché siano luoghi vivi. Non siamo portinai di questi luoghi; siamo frati minori che vivono, pregano in questi luoghi. Per noi è importante fare entrare nello stile del pellegrino. Per la prospettiva cristiana, Dio a Nazareth ha superato la distanza che lo separava dall’uomo. È importante che chi viene si metta nella disponibilità di Maria, ossia di collaborare con Dio stesso. I luoghi li riguadagniamo, non nella misura in cui li occupiamo, ma nella misura in cui li viviamo, ossia con questo sguardo riconoscente. Riguadagniamo il senso del Santo Sepolcro se ci rendiamo conto che lì il male è stato vinto e che Cristo è risorto”.
La Terra Santa sembra oggi essere solo un luogo di conflitti, ma è possibile una coesistenza pacifica?
“Bisogna recuperare la memoria di un servizio: il nostro operato in Terra Santa non nasce da motivazioni filantropiche, ma dal metterci al servizio di tutti per amore di Dio. Bisogna recuperare lo stile dialogante di San Francesco quando si era recato dal sultano: grande disponibilità, pacifico e disarmato. In questo modo sono possibili dialoghi interreligiosi con le altre comunità cristiane (greca-ortodossa e armena) e con ebrei e mussulmani. Lungo questi 800 anni 200 frati sono morti a causa della fede: anche dentro al dialogo ci sono rischi da correre”.
Sara Castellani