El Cimarrón di Hans Werner Henze, su testo di Hans Magnus Enzesberger, ha inaugurato la sessantottesima Sagra Malatestiana
RIMINI, 26 luglio 2017 – Un racconto di sopraffazioni, crudo e violento, condotto con lucidità implacabile che però lascia spazio all’adesione emotiva, grazie a un andamento musicale dove si alternano – in modo teatralissimo – momenti di grande concitazione ed episodi più distesi, in grado di stemperarne la tensione drammatica, per poi riaccendersi secondo un ritmo sempre più vorticoso e serrato.
El Cimarrón (vocabolo spagnolo che indicava il bestiame e gli schiavi fuggitivi), uno dei lavori musicali più emblematici del secondo novecento, ha aperto un po’ in sordina la sessantottesima Sagra Musicale Malatestiana: frutto di una collaborazione con San Marino International Music Summer Courses. Composto da Hans Werner Henze fra il 1969 e il 1970, durante il suo soggiorno a Cuba, mette in musica un testo tratto dalla biografia di Estéban Montejo (schiavo fuggiasco, vissuto fino a 104 anni e testimone diretto della dominazione spagnola) realizzata dall’etnografo Miguel Barnet, poi tradotta e adattata alla musica dallo scrittore tedesco Hans Magnus Enzesberger.
Definita ‘recital per quattro musicisti’, questa partitura oggi si rivela ancor più attuale di mezzo secolo fa: innanzi tutto per l’impegno civile di un testo che racconta con icastica efficacia vicende reali, ma capaci di assumere una dimensione quasi onirica; poi, per una musica che offre una raffinata idea di contaminazione tra una struttura formale di matrice europea, anzi tedesca (benché Henze si muovesse in forte polemica con l’esperienza di Darmstadt, in quegli anni egemone), e aperture a ritmi e sonorità sudamericane che ne attenuano il rigore, rendendo più immediato l’impatto sugli ascoltatori.
Bravissimi i quattro interpreti della serata riminese, impegnati non solo a rispettare le indicazioni scritte della partitura ma coinvolti anche in continue improvvisazioni, che riguardano la componente ritmica e la grande varietà dinamica. Roberto Fabbriciani suona diversi tipi di flauto e persino uno scacciapensieri; Rodolfo Rossi è impegnato a correre da un set all’altro di percussioni; mentre il chitarrista Magnus Andersson deve alternare i suoni del suo strumento ad altri del tutto atipici. Accanto ai tre polistrumentisti, un ruolo ancor più impegnativo è affidato al baritono Nicholas Isherwood: il solista vocale canta ininterrottamente passando attraverso un’ampia gamma di sonorità (Henze, che aveva conosciuto l’ormai anziano Estéban, era rimasto impressionato dalla sua voce e dalla capacità di spaziare oltre le solite due ottave degli occidentali) che alternano il canto intonato al parlato, come fosse uno Sprechgesang; ritmi veloci e altri più lenti; emissioni sussurrate e altre quasi gridate, in un continuo caleidoscopio dinamico, dove l’ampio ricorso al falsetto diventa segno espressivo.
Il testo di Enzesberger è stato proposto nella versione ritmica italiana di Paolo Cattelan: una scelta condotta nel nome della comprensibilità, tanto più che Isherwood ha saputo scandire e rendere ben intellegibili ogni singola parola. Rispetto all’originale, però, va persa un po’ di aggressività e quella ruvidezza legata alla lingua tedesca. Capace di trasformarsi in pugno nello stomaco.
Giulia Vannoni