Il 26 giugno cadrà il 50° anniversario della morte di don Lorenzo Milani. Per l’occasione, papa Francesco si recherà pellegrino sulla sua tomba, a Barbiana, martedì 20. C’è però un’altra data, in questo mese, particolarmente consacrata alla figura del sacerdote fiorentino, tanto da essere da lui stesso inserita fra le tappe fondamentali della sua vita cristiana, al secondo posto dopo il battesimo. È il 4 giugno. Siamo nel 1943, Lorenzo Milani ha appena compiuto vent’anni. Quel giorno il giovane rampollo dei Milani si reca nella chiesa di San Michele Visdomini, a due passi dalla cattedrale fiorentina. Cerca don Raffaele Bensi, noto per la sua capacità di guida spirituale. “Ti vuoi confessare?”, gli chiede il prete. “No, vorrei solo parlare. Non sono nemmeno cristiano, anche se ho ricevuto il battesimo”, risponde Lorenzo. Don Bensi non ha molto tempo: deve salire a San Quirico, fuori città, per il funerale di un prete morto prematuramente. “Se permette, l’accompagno”, replica il giovane. La strada è lunga, non sappiamo cosa si siano detti, ma don Bensi ricorda bene le parole di Lorenzo all’arrivo: “Quando fummo davanti al letto del giovane prete morto, don Dario Rossi, a San Quirico, egli mi disse, semplicemente: Io prenderò il suo posto”. Cinque mesi dopo entra in seminario e quattro anni dopo, il 13 luglio 1947, è ordinato sacerdote. È lui stesso ad annotare, accanto alla data del 4 giugno 1943: “Unito”. Unito a chi? A Gesù e a quella che chiamerà sempre “mia moglie”, ossia la Chiesa. “Da quel giorno fino all’autunno – prosegue don Bensi – si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire”. Per capire don Milani e la sua opera non si può trascurare quel 4 giugno, saltando subito alla forza rivoluzionaria delle esperienze pastorali di Calenzano e Barbiana. La passione educativa nasce da qui: dare ai poveri la parola e offrire alle loro coscienze la Parola è per lui un tutt’uno. Don Milani rivendica con forza la laicità della sua scuola, ma sbaglieremmo se la intendessimo, nel senso forzato a cui oggi viene ridotta, come esclusione della dimensione religiosa. La laicità di Barbiana è sinonimo di libertà e di apertura; significa soprattutto “non presupporre nel ragazzo null’altro che d’essere uomo”, come ben spiega la Lettera a una professoressa. E avere come scopo della scuola il “fine giusto”: dedicarsi al prossimo. È questa la lezione più attuale di don Milani. È questo ciò che Lorenzo aveva sperimentato a vent’anni, in quell’estate in cui si era ubriacato di un Dio tutt’altro che accomodante.
Ernesto Diaco