L’Africa che ha oggi, sparsi fra savane, foreste e deserti, poco più di un miliardo di abitanti, ne avrà, prevede l’Onu, più del doppio (2,4 miliardi) nel 2050 e quattro volte tanto (4,2 miliardi) a fine secolo. Molto più di Cina e India messe insieme. Dunque se non cambieranno le cose possiamo scordarci le invasioni dei… centomila, come accade oggi, perché i numeri saranno con qualche zero in più, nell’ordine di milioni. Se non cambieranno le cose. E cambieranno solo se smetteremo con quest’economia che, in favore di pochi, pochissimi, impoverisce quel continente ogni giorno di più, con il furto legalizzato e totale delle sue materie prime, delle sue enormi ricchezze. Non c’è altra soluzione. Non parliamo di restituire quel che abbiamo saccheggiato in due secoli (questo sarebbe troppo evangelico), ma semplicemente di smettere di rubare e condizionare le politiche di quei Paesi ai nostri interessi. Che poi non sono più nostri da tempo, ma di uno sparuto gruppo di super-ricchi nascosto dietro i Cda delle multinazionali. Se non accadrà sarà la fine della civiltà occidentale. Ecco perché il Papa non ha più parole per dire: “Quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto. La ’dea fortuna’ è sempre più la nuova divinità di una certa finanza e di tutto quel sistema dell’azzardo che sta distruggendo milioni di famiglie del mondo”. È lo stesso contenuto risuonato nel Discorso alla Città tenuto dal Vescovo al Corpus Domini . Oggi viviamo nell’eresia dell’individualismo, che è contrapposto ad una società ispirata alla comunione. Sarà possibile – dice il Vescovo – reagire a tale epidemia se noi cristiani mostremo con fatti di vita la bellezza di una società ispirata al Vangelo e al segno del “pane spezzato”.
Mons. Lambiasi, come del resto fa ogni giorno papa Francesco, non ha avuto paura di indicare i segni e la presenza di una cultura del bene, che è viva, ma anche di come forte soffia oggi il vento dell’intolleranza, a volte anche quello più sottile, ma non meno inquinato, dell’indifferenza. E qui il Vescovo ha posto un confine fra quello che è l’annuncio cristiano di una cultura di vita e non di morte, e la responsabilità politica di chi deve costruire la civis, con “il dovere di dettare regole più precise che mirino ad inserire davvero e servano a guidare bene chi arriva a rispettare, a sua volta, la nostra realtà”. Nessuno ha la ricetta magica per una realtà tanto complessa. Ma è certamente l’ora “di abbandonare il pianerottolo litigioso delle contrapposizioni polemiche e pretestuose (magari per un pugnetto di voti) per scendere al piano terra dei fatti concreti”.
Giovanni Tonelli