Una recente indagine dell’Istituto Toniolo, e un focus su giovani e fede in Italia, hanno portato alla luce il rapporto tra le nuove generazioni, la Chiesa e la sfera religiosa. Tra conferme e sorprese, in vista dell’assemblea della Cei, dedicata al tema “Giovani, per un incontro di fede” (Roma, 22-25 maggio 2017), e del Sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (ottobre 2018).
Su cento giovani italiani la metà circa si dichiara genericamente “cattolico”. Di questi, solo un quarto afferma di frequentare la messa domenicale: siamo, numero più numero meno, al 12-13% del totale degli under30. I dati – contenuti nella pubblicazione “Dio a modo mio” a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi, correlata al più ampio Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo – confermano una percezione diffusa: le nuove generazioni vivono la fede con una sensibilità assolutamente personale, una pratica poco “comunitaria”, e si pongono rispetto alla Chiesa cattolica con atteggiamento piuttosto “secolarizzato”.
Oltre i numeri. I giovani che si dicono “credenti nella religione cattolica” sono il 51% (quattro anni fa erano il 55%). Circa il 15% afferma di essere “ateo”, il 7% si dichiara “agnostico”. Ai ricercatori, i giovani hanno raccontato il percorso di iniziazione cristiana, “mettendo in luce soprattutto la sua obbligatorietà”; frequentare il “catechismo” ha significato per molti l’apprendimento di regole e principi; diffusa, in tal senso, la critica al “catechismo” come “trasmissione di un sapere codificato” e di “una serie di regole da seguire”. Eppure parrocchia e oratorio sono luoghi “di cui spesso si ha un buon ricordo”, dove assieme ai coetanei era possibile la costruzione di un gruppo di amici con cui crescere. Fondamentale, chiarisce “Dio a modo mio”, la figura del sacerdote che segue i ragazzi: può diventare determinante nella scelta di rimanere nella comunità. L’eventuale distacco dalla parrocchia e dalla pratica religiosa si colloca mediamente attorno all’adolescenza, tra i 13 e i 16 anni (diverso il caso in cui la famiglia vive nel suo insieme una fede limpida e coerente, che può spingere anche i ragazzi a una “appartenenza” cristiana). Intorno ai 25 anni è però possibile (e non raro) un “ripensamento” attorno alla fede e dunque un ritorno gioioso e sollecito alla comunità religiosa.
Attenzione critica. Nel complesso emerge un atteggiamento nei confronti della Chiesa abbastanza “critico”. È stato chiesto ai giovani – spiega “Dio a modo mio” – di dare un voto da 1 a 10 al loro grado di fiducia nella Chiesa; il voto medio ottenuto è 4 (non stanno meglio altre istituzioni e mondi frequentati dai giovani). La fede dei Millennial, quando la lampada è mantenuta accesa, si fonda peraltro su una modesta conoscenza della Bibbia e di Gesù; si interroga sulla “utilità” o “necessità” della Chiesa quale “tramite” tra Dio e l’uomo; fatica a comprendere il linguaggio della Chiesa ma ricerca spazi di spiritualità; e ama – questo è un elemento generalizzato – Papa Francesco.
Gli under30 non sono ostili alla comunità cristiana, semmai – è convinzione degli studiosi – la sentono “estranea”.
Gesù tra le quinte? La ricerca mette in luce una fede giovanile in cui sembra prevalere il rapporto diretto con Dio, ma spesso è un Dio fai-da-te, un Dio “generico”, “personalizzato”, tanto che quando i giovani che si professano cattolici sono chiamati a parlare della propria fede, il riferimento a Gesù Cristo è raro, inconsueto. Il Dio incarnato, entrato nella storia dell’umanità, rischia di essere relegato tra le quinte. Nonostante ciò, i dati “qualitativi” dell’indagine evidenziano una ricerca di fondo, una certa apertura al trascendente. Forse perché chi crede ha sempre una speranza.
Percorsi e linguaggi. Dio, dunque, non manca nell’orizzonte giovanile; il Papa è un punto di riferimento credibile per la grande maggioranza dei ragazzi; alcune relazioni con educatori o sacerdoti segnano in positivo la vita di un buon numero di giovani. Accanto ai quali la comunità cristiana può porsi in ascolto, con l’impegno di comprendere e accompagnare. Forse i giovani chiedono agli adulti, sintetizza “Dio a modo mio”, di rispettare i loro percorsi, “anche se tortuosi e non standard”, di “offrire loro criteri di scelta più che norme da seguire”, di essere – prima di tutto – testimoni credibili del Vangelo. Non di meno è possibile pensare e costruire “percorsi formativi innovativi e coraggiosi”, utilizzando magari linguaggi e strumenti che tocchino le corde – sensibilissime – delle nuove generazioni.
Gianni Borsa