Nel 1990 Rodolfo Francesconi iniziò a Riccione la sua seconda esistenza, quella di scrittore, con la stessa felice alacrità con cui aveva condotto la prima, di dirigente industriale a Milano. Cominciò dal periodo più avventuroso dell’adolescenza, trascorsa in piena guerra tra il 25 luglio 1943 e il 19 marzo 1945, quando da Rimini era stato dirottato alla Colonia Piacentina di Misano mare, presso la nonna Enrica. Su quella esperienza iniziatica scrisse Quello che butta il mare (che Raffaelli ripubblica con introduzione di Piero Meldini, pp. 170, 12 euro), dodici racconti dove l’autobiografia è tradotta in letteratura. Ma come osserva Meldini, la scelta non è solo letteraria. La distanza degli anni consente di osservare le trasformazioni con occhio morale, di tradurre il vissuto in un senso universale.
La bellezza di questo libro sta nell’autenticità in cui emerge il passato dall’occhio freschissimo di un adolescente che scopre e impara con senso gioioso e intraprendente: il meraviglioso paesaggio marino incontaminato e la foce del Rio Agina; la cultura materiale marinara e quella contadina; gli eventi tragici che irrompono ma vengono metabolizzati, come il passaggio dei prigionieri ebrei, la fucilazione lontana di Rino Molari, la ricognizione dei cugini di Gemmano – percorso infernale tra cadaveri – esorcizzata con un veloce «stanno tutti bene e vi salutano». Tornano in vita i personaggi: Enrica, possente autorità materna, arzdora che regge la colonia, il marinaio Mario, i contadini, e fronteggia le soldatesche; lo zio Lulo, cacciatore e già bon vivant; l’“ineffabile” ingegnere Prassone; il maggiore McLaud che comunica in latino con Rodolfo ginnasiale e porta tutti in gita a S. Apollinare in Classe; lo sminatore Tonin e il cane; Paola, primo amore, che una scheggia dissangua: con la sua morte termina la fanciullezza di Rodolfo.
Quello che butta il mare è la descrizione delle risorse cui ricorrono gli abitanti della landa desolata di Misano raccogliendo ora i resti di un naufragio, ora sfruttando tutto quel che ricade sulla spiaggia. Così come in campagna si fa tesoro di ogni erba e arbusto di siepe, così si sfrutta l’almadira, il misto di alghe, cannucce, molluschi, tritumi organici, che diventava combustibile; per non parlare della raccolta di ossi di seppia, vera attività dalle complesse differenziazioni.
Francesconi ha continuato a raccontare in numerose pubblicazioni quanto gli premeva su Riccione prima e dopo il suo distacco come comune autonomo da Rimini (1922), nella sua peculiarità. Essa consisteva nella cura della salute infantile e in un turismo di élite, raffinato nella sua eleganza naturale, che la presenza di Mussolini e la propaganda avrebbero trasformato in tendenza di massa.
Nell’ultimo di questi libri, scritto a due mani con il cugino Alberto Spadoni, Francesconi offre una testimonianza preziosa sul ruolo di Sebastiano Amati (1860-1934) e della sua famiglia, discesa da Verucchio e poi San Mauro con Emilio di Sebastiano nel 1849, l’anno della presa di Roma, quando conta soli 933 abitanti (Sebastiano Amati, prefazione di P. Meldini, Raffaelli, pp. 120, 25 euro). Emilio è per l’Unità d’Italia, sa scrivere, partecipa alla crescita del paese, la tratta ferroviaria Rimini-Ancona (1862). L’arrivo di 100 bambini bolognesi (1867), sollecitato da don Carlo Tonini (parente del bibliotecario Luigi), dà inizio a una valorizzazione della salubrità speciale di Riccione, nota da secoli. Nel 1877 Emilio inaugura sul terreno del conte Giacinto Soleri Martinelli l’Ospizio marino per bambini scrofolosi, che solo il terremoto del 1916 farà sostituire dal Grand Hôtel di Gaetano Ceschina.
Mentre sorgono le prime ville, il primogenito Sebastiano si congeda dalla Marina (1878-1885), si sposa nel 1890 con la contessina ferrarese Augusta Raspi. È figlia del patriota Napoleone che con il padre Francesco partecipò alla battaglia delle Celle (1831) e di Mary, primogenita del nobile scozzese William MacAlister, notevole figura di uomo d’affari e politico. Nel 1887 fondatore e presidente della Società di Mutuo Soccorso, Sebastiano collabora con Maria Boorman Ceccarini, benefattrice per eccellenza, con Giacinto Martinelli, che realizza nel contempo la prima lottizzazione per villini. Presto nel Consiglio comunale di Rimini, la sua attività è instancabile. Non solo di imprenditore come i fratelli Lucio, Amato, Cristina (inaugura il primo albergo degno di questo nome nel 1901, il Sanatorio Comasco nel 1907), ma di uomo pubblico, che in anni drammatici di tensioni sociali e tragedie, quali la guerra 1915-1918, il terremoto del 1916, la crisi del 1929, promuove la strada litoranea, il ponte sul Marano, l’autonomia da Rimini, e critica duramente «l’offesa all’estetica, al carattere di Riccione […] alla salubrità […], lo sconcio» della barriera di case appiccicate tra loro: la “bassa speculazione” delle demagogie.
Rosita Copioli