Da qualche settimana è nelle librerie, e nelle case degli abbonati, il nuovo numero di Romagna arte e storia, il 106, che apre il trentaseiesimo anno di vita di questa rivista di cultura che continua a far onore alla nostra regione e alla città di Rimini. Per chi non lo avesse ancora visto eccone brevemente i contenuti.
Si apre con due importanti contributi di Cristoforo Buscarini e di Ferruccio Farina. Il primo riguarda i carteggi intercorsi fra San Marino, Rimini e Roma nel Quattrocento: si tratta di patti, richieste di alleanze, corrispondenze diplomatiche che rivelano, insieme alla crescente predominanza oligarchica all’interno del comune sammarinese, diffidenze e difficoltà con la vicina città malatestiana e con la lontana capitale romana, l’abile gioco dell’alleata e protettrice Urbino (sia quella montefeltrana che quella roveresca) e i sempre vivi contrasti con i Malatesti. Il secondo mette in luce l’amicizia – fino ad ora molto sottovalutata – che il grande umanista Francesco Filelfo ebbe con Sigismondo: un’amicizia e una stima durature, che non furono scalfite dall’anatema scagliato da Pio II Piccolomini contro il signore riminese e dalla campagna denigratoria promossa dal pontefice nei suoi confronti. Il Filelfo si rivela un alleato e un estimatore di Sigismondo e un nemico di Pio II, che considera un prepotente nepotista, un’«anima nera» del suo tempo, della cui morte (avvenuta nel 1464) conviene rallegrarsi. Una composizione poetica del Filelfo, manoscritta alla fine di una Divina Commedia già di Sigismondo e qui pubblicata, si conclude con questa invocazione: «Voi che siete insigni per parola e voi, giovani dedicati alle muse, sciogliete voti agli dei che portarono via Pio». Questo saggio, con altri due che il Farina ha già pubblicati sulla stessa rivista, compone un “trittico” quanto mai interessante, inteso ad approfondire la civiltà malatestiana e la fama contemporanea e postuma di Sigismondo.
Di altro genere è il saggio di Oreste Delucca, che riguarda la piada e che si propone di approfondire un tema già trattato da Piero Meldini su “Romagna arte e storia” nel 1995. Ha un titolo interrogativo: «A Rimini si mangiava la piada nel Quattrocento e nel Cinquecento?», e riunisce una gran quantità di documenti, a cominciare dal Duecento, che dimostrano che a Rimini effettivamente si faceva e si cuoceva e si mangiava la piada, «liscia» o farcita con erbe e uova e formaggi, cioè come base di vere e proprie torte salate. E questo desume dall’esame rigoroso di documenti e di inventari casalinghi in cui compaiono teglie, testi, ferri per cuocerla e taglieri e matterelli per confezionarla (certo con ingredienti molto più poveri di quelli usati oggi). Vuole però lasciare aperto l’interrogativo del titolo, facendo intendere che i documenti non chiariscono se si trattava di vere piade, o magari di focacce o di “spianate”.
Gli ultimi saggi della rivista riguardano la costruzione di un altare settecentesco in una chiesa ravennate, in cui è implicato anche il nostro architetto Giovan Francesco Buonamici (autore Iacopo Bonincampi); la figura di Angelo Antimi, riminese di Macerata Feltria (1777-1846), decorato con la «legione d’onore» da Napoleone, capitano della guardia urbana e promotore di cultura e studioso e collezionista d’arte a Rimini, dove venne aggregato alla nobiltà (autore Fabio Fraternali). La rivista si chiude con un curioso scritto sui cognomi dati ai trovatelli nell’Ottocento a Cesena: cognomi illustri come Alighieri, Colombo, Vespucci, Buonarroti, Fieramosca, Sforza e via dicendo, giusto per risarcire i poveri bambini abbandonati dall’«infamia» originaria! (autore Claudio Riva).
Pier Giorgio Pasini