È un paradosso, e per alcuni neppure tanto apparente: Federico Fellini era talmente riminese da non aver mai girato nessuno dei suoi capolavori nella cittadina romagnola. Le sue pellicole sono intrise di atmosfere e immaginazione legate all’infanzia tra il cinema Fulgor, il Grand Hotel e Corso d’Augusto, la loro realizzazione è stata compiuta altrove.
Dopo Rimini, il comune più felliniano della Romagna è Gambettola. Il grande regista di Amarcord e La dolce vita ha radici e legami profondi con il paese lungo la via Emilia, oggi forse più conosciuto per il suo Carnevale che per i legami con il cinema e Fellini. Eppure il regista vantava nonni gambettolesi, e in questa cittadina ha trascorso le estati, e il casolare in via Soprarigossa, dimora dei nonni e oggi di proprietà comunale, di cui si sta progettando il recupero.
La cittadina della Valle del Rubicone la si ritrova nei film di Fellini. A sostenere la tesi è Gianfranco Miro Gori, saggista e critico cinematografico, fondatore della Cineteca di Rimini e da anni studioso del cinema di Fellini. Gori ha sviscerato il rapporto tra il regista e la provincia romagnola nell’interessante Le radici di Fellini romagnolo nel mondo (Il Ponte Vecchio, Cesena).
Fellini, tra gli artisti italiani del Novecento più famosi del mondo, lascia la piccola patria (Rimini e più in generale la Romagna) alla fine degli anni Trenta, quando non ha ancora compiuto vent’anni. Intende dedicarsi al giornalismo, alla scrittura. Diventa, invece, il favoloso regista amato dai critici più sofisticati e dal pubblico. Allo stesso tempo la partenza insinua in lui un invincibile desiderio di ritornare. Non tanto nella realtà quanto nella finzione cinematografica che rappresenta la sua verità più intima e profonda. Per questo assai spesso viene definito “regista di Rimini” o “romagnolo”. Non banalmente per la casualità di una nascita, ma perché i suoi film intrattengono stretti legami con la terra natia. Anche quando essa non si mostra, lo spettatore attento può ritrovarne le tracce indirette. Fellini fonda sul ricordo dell’infanzia e della giovinezza buona parte del suo cinema. Il libro di Gori racconta le immagini e i suoni di questa storia che trova il suo apice in Amarcord, scritto con un altro romagnolo, Tonino Guerra, ma che si spande in tutta, o quasi, la filmografia del regista.
Il mondo di Fellini nasce in Romagna. I nonni giocano un ruolo fondamentale nella filmografia felliniana. E in 81/2 il regista mette in scena il casolare di campagna di Gambettola. L’infanzia in città si ritrova anhe nei film I Clown e Roma, omaggio alle sue passioni: i burattini, il circo, gli spettacoli popolari, che oggi trovano espressione proprio nel Carnevale di Gambettola e nel festival dei burattini.
Per Miro Gori la questione va valutata su tre piani. Primo: “Fellini non avava tornare qua, per il rapporto con riminesi e i fantasmi della giovinezza”. Secondo: “doveva fare i conti con questo paesaggio, e da lontano questa operazione riusciva meglio”. Allontanarsi per vedere meglio: la pensa così anche Tito Faraci, uno dei più importanti sceneggiatori della new wave Disney in relazione a Topolino, come ha ben spiegato nel recente, godibile Uomini e topo (addeditore). Tornando a Fellini, l’ultimo, e più importante elemento, “c’è l’elemento nostalgico. L’arte di FF si fonda sulla nostalgia, ricostruendo la sua terra nella finzione fa rivivere gli anni ’30 e la sua giovinezza”.
A chiudere il cerchio è indubbiamente Amarcord. Nella sua terra il regista non solo non ha mai girato neppure un centimetro di pellicola ma non amava neppure tornare per non compromettere quel ricordo della terra che aveva lasciato e di cui aveva nostalgia. Una nostalgia vinta con il cinema che gli permetteva di “riapparire” nella sua Romagna.
Paolo Guiducci