In tre anni (2012-2015) la percentuale dei ragazzi italiani con problemi di udito è passata dal 3 al 4,2%.
Un aumento del 25% in tempi brevi. Ci sono troppi decibel in cuffia, negli auricolari, nelle discoteche, in auto. Non mancano, riferisce in questi giorni un quotidiano nazionale, i consigli degli esperti per ridurre il rischio. L’Organizzazione mondiale della sanità suggerisce di seguire “la regola del 60”: musica mai superiore a 60 decibel e per non più di 60 minuti al giorno.
Altre contromisure vengono dalla Società Italiana di Audiologia che invita a ridurre l’uso continuativo di mp3 o di altri riproduttori musicali a non più di due ore al giorno e propone di seguire in discoteca la regola dell’in&out, cioè prendersi una pausa di un quarto d’ora ogni 90 minuti.
La questione della sordità e dello stordimento giovanili, così come viene posta dai media, chiama in causa la salute fisica e mentale. Non sembra però che questo sia sufficiente per rispondere a un problema umano più profondo.
Guido Conti, responsabile dell’unità audiologica del Policlinico A. Gemelli, nell’affermare che “per divertirsi non c’è bisogno di sentire vibrare la pancia per i troppi decibel” introduce una riflessione che si apre a ventaglio a molte altre. Alzare al massimo il volume del suono potrebbe essere una scelta per non sentire i rumori del mondo adulto.
Più assordante è il suono e più ci si sente protetti dalle parole e dai rumori di una società bisbetica, dal fragore delle armi, dal pianto di chi fugge dalla violenza e dalla morte. Non c’è, allora, da cogliere qualche segnale dai giovani che rischiano la sordità non solo fisica, che rifiutano di ascoltare la complessità? Non sono, ancora, da cogliere i segni della paura di un silenzio che, non essendo un vuoto, interroga la coscienza e diventa una forma di comunicazione densa di messaggi? Come accompagnare i giovani e gli adolescenti, senza che abbandonino la bellezza della musica e delle canzoni, nella scoperta di una comunicazione controcorrente, anticonformista e generativa di pensieri e di sogni grandi?
Ascoltare il silenzio, abitare il silenzio, avere il silenzio come compagno di vita non sembra più un esercizio amato e diffuso.
Irrompono le parole vane e le parole vuote dalle quali ragazzi e giovani si difendono alzando il muro dei decibel.
Il rischio è di uomini e donne che nessuno ascolta, che hanno paura del silenzio, che si rifugiano nel rumore assordante smarrendo già in se stessi quelle tracce di umanità che nascono dall’ascolto, ricevuto e donato. Che nascono dalla voce del silenzio.
Paolo Bustaffa