Don Roberto è poco più che cinquantenne, nato a Rimini, ma originario della parrocchia di Misano Mare, dove è tornato da qualche mese, in aiuto a don Marzio Carlini.
Il suo cammino verso la consacrazione sacerdotale assomiglia a quello di tanti altri: è entrato in seminario dopo il diploma in Ragioneria; ha frequentato gli studi teologici a Bologna ed è stato ordinato presbitero nel ’95. La sua vita di prete ce la facciamo raccontare a “puntate”.
Don Roberto, partiamo dalla puntata di mezzo, dalla tua esperienza a Bologna: il Seminario e poi l’imprevedibile disavventura dell’ictus.
“Quando il Vescovo mi ha proposto di andare a Bologna, come vicerettore al Seminario Regionale, ho accettato con entusiasmo, perché ci vedevo l’occasione per una mia crescita spirituale e culturale: spirituale, perché per formare nuovi preti bisogna essere formati in prima persona, ma anche culturale, perché avrei avuto l’opportunità di continuare gli studi con la Licenza. Una volta arrivato a Bologna mi sono accorto che l’esperienza sarebbe stata assai più interessante anche dal punto di vista ecclesiale, avendo a che fare con altre Chiese locali (sono 8 le diocesi che fanno riferimento al Regionale) e con tutti i Seminari regionali d’Italia. Non c’è che dire: una bella panoramica ecclesiale e culturale”.
Così nei 5 anni di servizio a Bologna (2009 – 2013) hai completato i tuoi studi e accompagnato tanti giovani fino all’ordinazione presbiterale.
“In realtà a Bologna ci sono stato solo tre anni e un po’… Al quarto anno ho terminato il corso a febbraio, a causa dell’ictus. Riguardo ai miei studi, al mattino, quando i seminaristi erano a scuola, anch’io andavo a lezione o studiavo per conto mio per conseguire la Licenza in Teologia dell’Evangelizzazione. Quanto ai giovani accompagnati fino all’ordinazione sono stati una quarantina, appartenenti a diverse Diocesi della Romagna”.
Poi, come hai accennato, l’ictus…
“È successo il 7 febbraio 2013. Ero andato a fare due passi nel parco e lì mi hanno trovato svenuto e malconcio”.
L’ictus ha cambiato profondamente il modo di vivere di don Roberto e naturalmente anche i suoi impegni. Ha richiesto un complicato intervento alla testa e un lungo periodo di terapia e riabilitazione, a Bologna, alla Sol et Salus di Torre Pedrera e infine a Ferrara.
“Certamente l’ictus ha cambiato il mio modo di fare il prete, ma non quello di essere prete. Intendo dire che il limite fisico non mi permette più di svolgere tutte le attività di prima, ma lo spirito è rimasto integro. Mi ha fatto riflettere su questa situazione una ragazza ricoverata con me a Ferrara. Aveva avuto un incidente in moto e il suo ragazzo era morto. E lei si domandava: Perché Dio ha permesso questo? Allora ho capito che noi non dobbiamo chiedere a Dio il perché delle cose, ma come noi possiamo rispondere e reagire alle situazioni”.
Prima di arrivare a Bologna hai fatto diverse esperienze pastorali…
“Appena diventato prete sono andato cappellano a San Mauro Pascoli e vi sono rimasto fino al 2002, quando sono diventato parroco a Cerasolo-Mulazzano. Sono state esperienze pastorali molto dinamiche: essendo prete giovane mi occupavo principalmente dei giovani, anche se poi, come parroco, l’impegno era più ampio e diversificato. Devo dire che, sia a San Mauro sia a Cerasolo-Mulazzano, mi sono sentito accolto e stimato, per cui il mio atteggiamento non poteva che essere un sentimento di riconoscenza e di corrispondenza. Ho sentito di voler bene a quelle comunità, come loro ne hanno voluto a me, e me lo hanno dimostrato anche durante la malattia, pur non essendo più presso di loro”.
Quando ancora usavi speditamente le tue gambe, senza bisogno di bastone o di carrozzina, ti piaceva molto viaggiare.
“È vero, ho viaggiato molto e in diverse parti dell’Europa, con amici e con le comunità presso cui mi trovavo. Ricordo come momenti del tutto speciali il viaggio in Polonia con la comunità di San Mauro o il pellegrinaggio in Terra Santa con la comunità di Cerasolo-Mulazzano. Il viaggiare mi ricordava di essere pellegrino sulla terra e mi dava l’opportunità di conoscere altri usi e costumi, altri stili di vita, altri modi di incarnare il vangelo”.
Dopo Bologna, dopo più di tre anni, fra terapie riabilitative e soggiorno alla Casa del Clero, sei approdato a Misano Adriatico.
“La permanenza per mesi, necessaria, nelle case di cura mi aveva fatto crescere il desiderio di una vita più comunitaria, con altri preti. In un primo momento ho trovato questa risposta nella Casa del Clero, a Rimini. Vi sono rimasto dal novembre 2013 fino a dicembre del 2016. E’ stato un momento bello, mi sentivo protetto da una struttura che mi offriva tutto il conforto e l’aiuto necessari. Ero anche occupato in qualche modo nella pastorale, essendo assistente del Movimento di Rinnovamento nello Spirito, e assistente dei familiari del clero. Sentivo però il desiderio di un impegno pastorale più a contatto diretto con la gente. Siccome qui a Misano don Marzio desiderava avere un aiuto, abbiamo valutato insieme se io potessi essere questo aiuto. Poi anche il Vescovo è stato d’accordo e così ho ripreso qui la mia avventura di prete-pastore”.
Ma ti rimane sempre di dover fare i conti coi limiti della tua condizione fisica.
“Certamente sì, ma il mio ruolo di prete travalica anche i limiti fisici. Così posso ugualmente occuparmi di pastorale giovanile, di catechesi, di guida spirituale… E poi c’è sempre la celebrazione dell’Eucaristia per tutta la comunità… Sicuramente la malattia è stato uno spartiacque per me, un momento in cui ho sentito di dover fare un bilancio della mia vita: potevo continuare a essere prete, cambiando il modo di fare il prete. Questa malattia è stata per me l’occasione per chiedermi se fin qui sono stato o no un buon prete. Una risposta indiretta e consolante mi è venuta dai miei ex parrocchiani, dalla loro vicinanza e premura nei miei confronti: forse, mi sono detto, non ho speso inutilmente il mio tempo. E questo mi dà forza per continuare il mio impegno pastorale ancora e meglio di prima”.
Egidio Brigliadori