Uno si stima quando sente che la sua città è “capitale” di qualcosa, ma poi fa anche presto a tornare coi piedi per terra.
Prendiamo ad esempio la cioccolata: quando c’è l’evento a Riccione, ecco che la Perla Verde diventa “capitale del cioccolato”.
Poi però uno scopre su Google che di recente anche Cesena, per simile manifestazione, è stata capitale del cioccolato. E non è solo questione di campanilismo romagnolo: capitali del cioccolato, oltre a Perugia per antonomasia, lo sono anche Palermo, Salerno, Siena, Riva del Garda, Torino e Milano scusandomi per chi è rimasto fuori. Stessa cosa per gli eventi dedicati all’enogastronomia. Quando arrivano gli chef stellati ecco che Rimini diventa la capitale del gusto. Ma capitali del gusto sono, a turno, anche Cesena (allora lo fanno apposta), Forlì, Bologna, Parma, Milano, Mantova, Lodi, Fermo, Macerata, Civitavecchia, Matera etc etc. Stessa cosa per il Sigep che ci rende “capitale dei golosi”: anche qui la lista è lunga (ma almeno Cesena non c’è, tié!). Altro che gli Stati Uniti che di capitali ne hanno cinquanta: da noi ogni città è pluricapitale.
O le capitali si specializzano in qualcosa di specifico che non si discute, come Trieste che è capitale del caffè o Cremona capitale del torrone. Oppure noi che facciamo comunicazione impariamo a non scrivere per frasi fatte. Che si rischia di diventare più stucchevoli di un’abbuffata di cioccolato
Il Caffè Scorretto di Maurizio Ceccarini