Dal primo ciak alla “Conca”, il quartiere di famiglia a Cattolica, ai multisala in Emilia Romagna, e non solo. Se c’è qualcuno che ha vissuto in prima persona – e, in qualche caso, pure anticipato – mezzo secolo di cambiamenti sul grande schermo, questi sono senza dubbio i Giometti.
L’immagine che ci troviamo davanti appena varcata la soglia della Giometti Real Estate, nel cuore della zona artigianale di San Giovanni in Marignano, dà subito l’idea di quanto i tempi siano cambiati: nella foto in bianco e nero uno stuolo di ragazzini allargano gli occhi estasiati gustandosi, probabilmente, una delle prime pellicole sbarcate in Italia. Oggi ognuno sul divano di casa sua o con qualunque dispositivo digitale in mano, ha la possibilità di scegliere il film da guardare, anche in totale solitudine.
Massimiliano Giometti che per l’impresa di famiglia si occupa di tutto l’aspetto tecnico e promozionale, ci riceve nella hall del San Giovanni Relais, il nuovissimo resort creato di fianco alla sede aziendale, dove fino a qualche anno fa, dovevano nascere gli uffici. Ci racconta dei primi passi “sotto i riflettori” di nonno Gino e babbo Gianni, dei rimpianti (specie nella sua Cattolica) e dei prossimi progetti che potrebbero toccare anche Rimini, con il nuovo Fulgor.
La vostra scalata nel grande schermo parte da lontano.
“Sì. Tutto è cominciato con mio nonno Gino con i cinema nelle colonie con il proiettore 16 mm, poi le arene a Riccione, Gabicce, Cattolica, poi, nel ’73, ha costruito il cinema Parioli. Ma con un cinema solo il potere contrattuale verso le grandi case di distribuzione era pressoché nullo: le pellicole prima arrivavano a Rimini, Riccione, poi al massimo a Morciano. Mio babbo e mio zio Salvatore hanno invertito la rotta. Nel 1981 hanno acquistato il primo cinema a Cattolica, affittato il Settebello a Rimini, il Metropolis a Pesaro e altri cinema a Senigallia e Ancona, fino ad arrivare a una decina di monosale e bisale tra Romagna e Marche. Nel 1999, con l’avvento delle multisala straniere, ci siamo detti: perché non farle anche noi? Ne avevamo preventivate tre fra Pesaro, Fano e Ancona e alla fine ne abbiamo costruite 15, circa una all’anno tra Romagna, Marche, Abruzzo, Umbria e Toscana. Nel 2010 abbiamo raggiunto i 150 schermi con 15 multisala attestandoci al terzo posto in Italia subito dopo i colossi stranieri”.
Gli ultimi anni però non sono stati facili.
“Infatti: il passaggio al digitale, Sky, la tv on demand, la pirateria… Oltre all’innovazione tecnologica il nostro credo è offrire il massimo confort e le tecnologie migliori. Con tanti investimenti”.
Rimini e Riccione, il rischio concorrenza era – e rimane – molto alto…
“Il pubblico di massa va a Rimini, alle Befane, a Riccione invece abbiamo lavorato molto per attirare un pubblico alternativo facendone una multisala culturale. Abbiamo portato registi di spessore, ultimo il mio amico Bellocchio (Marco, il regista, ndr.) e cominciato ad avere un credito dal punto di vista autoriale. Non è stato facile. Un’idea fruttuosa, al Cinepalace, sono stati anche i buffet per l’aperitivo collegati alle rassegne. Il cinema ha bisogno di attività sinergiche come la ristorazione. E la cosa che mi ha fatto più piacere è vedere tra il pubblico della Perla i riminesi”.
Un modo anche questo per superare i campanili.
“Noi abbiamo sempre detto: «Meglio un morto a casa che un marchigiano sulla porta»<+testo_band>. Ma noi i primi cinema li abbiamo aperti nelle Marche. Dal nemico”.
Qualche romagnolo avrà storto il naso.
“Sì infatti, oltretutto a Cattolica abbiamo chiuso tutti i cinema, purtroppo”.
Come mai proprio la vostra città è rimasta orfana?
“A Cattolica non c’è l’utenza. E poi le cose le apprezzi quando non le hai più. Ora tutti si lamentano che non c’è più una sala, a parte lo Snaporaz che secondo me lavora molto bene, ma nessuno ha fatto niente per aiutarci a mandare avanti questi cinema. L’Ariston a Cattolica era una grande struttura, come l’Ariston 2. Ma lavorare solo nel fine settimana non bastava, le poche presenze non giustificavano gli investimenti. Per me è stato un grande dispiacere, io sono cresciuto lì dentro”.
Eravate state interpellati anche per il Vgs, il centro che doveva ospitare un multisala ma oggi è un cantiere abbandonato.
“Avevamo suggerito di non fare un multisala o, quantomeno, di farlo ridotto: non sei sale da 1300 posti complessivi e almeno 10-15 dipendenti, come era nelle intenzioni dei progettisti, ma tre sale. Non ci hanno voluto seguire. Anche a Riccione avevamo detto di non fare multisala, le cose sono andate comunque bene ma non sono mai stati raggiunti i numeri di Rimini. Negli anni d’oro il Multiplex ha toccato 800mila spettatori, anche se oggi si sono quasi dimezzati, mentre Riccione arriva al massimo a 200mila”.
E il digitale, che spese ha comportato?
“Un proiettore digitale all’inizio costava 120 milioni di lire, adesso circa 60mila euro. Ma bisogna aggiungere il cambio del sistema dell’audio e altre spese. È stata una mazzata notevole, perdipiù obbligatoria. Noi il primo l’abbiamo messo nel 2004 a Porto Sant’Elpidio, eravamo solo tre in tutta Italia. Così pionieri che gli installatori ci avevano detto: «Se vedete una luce rossa chiamateci». Abbiamo chiesto perché e loro: «Non lo sappiamo ma chiamateci». Io ci ho creduto da subito. A livello logistico è molto più economico, una volta il film ti arrivava con il corriere e costava mille euro solo a stampare una copia, adesso non hai hard disk, anzi il 70% arriva via satellite, non c’è nemmeno il supporto rigido. E hai un sacco di opportunità”.
La più grande soddisfazione?
“Se in passato qualcuno mi avesse detto: «Tra un po’ di anni porterai gente nei feriali a 12 euro a biglietto per vedere i documentari o l’Opera» non ci avrei creduto. Invece al Cinepalace è successo. E con la lirica abbiamo fatto tre record nazionali. I contenuti alternativi a Riccione cominciano a coprire il 60% del nostro fatturato”.
E Rimini?
“Con l’Amministrazione riminese, come con quella riccionese, siamo in ottimi rapporti. E guadiamo con interesse al nuovo Fulgor, non solo perché una volta lo gestivamo noi ma perché è il cinema per antonomasia. Abbiamo già delle idee, un progetto interessante, tutto dipenderà dal bando che uscirà a febbraio. Io la mia proposta la farò. Vedremo ma a prescindere che io gestisca il Fulgor o no, darò una mano. Come ho dato consigli al Comune anche in passato. Che si parli di cinema a me interessa a prescindere, che sia mio o no”.
Può anticiparci qualcosa?
“Le idee me le riservo per il bando, posso solo dire che la nostra idea non accontenterà solo i riminesi ma tutto il circondario”.
E i nostalgici dei piccoli cinema?
“Sì, ma voglio vedere se i nostalgici poi vengono al cinema, d’inverno e quando piove, in mancanza di parcheggi. Quei cinema li ho avuti tutti io e durante la settimana si piangeva, a parte l’Astoria e il Settebello che avevano i posti auto”.
Quale dei personaggi incontrati in questi anni da red carpet l’ha stupita maggiormente?
“Senza dubbio Gabriele Salvatores. La mattinata in cui abbiamo registrato 1100 studenti a Riccione alla presentazione di Ragazzo invisibile, a Matinée, ha passato il tempo a fare selfie e raccontare aneddoti ai ragazzi. Mi ha fatto capire una cosa: quando un adulto fa una domanda tende sempre a raccontarsi un po’, un ragazzo lo fa per imparare”.
Quale invece la più grande delusione?
“Il non essere presi in considerazione dai distributori solo perché siamo uan realtà di provincia. Eppure in alcuni casi facciamo gli stessi numeri di Milano o Roma, non ho mai fatto un’anteprima gratuita e chi è venuto poi ci ha fatto solo i complimenti”.
Mai una gaffe?
(Giometti sorride) “Alla presentazione a Riccione di Veloce come il vento con Stefano Accorsi. Gli feci trovare una macchina da rally. Avevo scomodato mezzo mondo ma sbagliai auto: non ricordandomi che era testimonial Peugeot gli presentai una Renault 5, ma con quella non poteva di certo fare una foto!”.
Alessandra Leardini