Il tema non è solito per un convegno di catechisti. Ma affronta una questione importante, decisiva e urgente, con il quale ogni comunità si confronta quotidianamente. E per non arrivare all’appuntamento a mani vuote e con il cuore gonfio, l’Ufficio Catechistico Diocesano ha pensato anche ad un percorso diverso e ad una nuova modalità. “Consolare nel dolore” è il titolo del XXVII Convegno Diocesano dei catechisti: appuntamento domenica 29 gennaio in Sala Manzoni. Al momento di preghiera guidato dal Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, seguiranno gli interventi di don Guido Benzi, docente alla Pontificia Università Salesiana (Roma) e di Alberto Pellai, saggista, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva. A coordinare i lavori, don Daniele Giunchi, direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano. A lui poniamo alcune domande circa il tradizionale, atteso appuntamento.
Il tema del Convegno 2017 ha lasciato perlomeno stupiti tanti addetti ai lavori. Come è nata la scelta?
“Lo scorso anno molte comunità della nostra diocesi (ad esempio San Raffaele, Viserbella, Misano monte, Villa Verucchio) hanno vissuto la morte di bambini, giovani e giovani genitori, situazioni di dolore, anche drammatiche, che hanno interrogato profondamente famiglie, catechisti, sacerdoti e laici. Di fronte ad un bimbo che non è più presente nel gruppo di catechismo, si può far finta di nulla e proseguire come se nulla fosse accaduto? Lo stesso interrogativo vale per il gruppo di amici o di famiglie. Non è forse più cristiano, e dunque più umano, affrontare la domanda sulla sofferenza, il dolore e in ultima analisi la morte?”
Tra l’altro, “Consolare nel dolore” arriva a vent’anni esatti dalla morte di Henri Nouwen, noto teologo che sul tema ha scritto tante pagine importanti.
“È un altro dei motivi che ci ha sollecitati ad affrontare il tema. Nouwen – che nella seconda parte della sua esistenza ha abbracciato l’esperienza dell’Arca di Jean Vanier – è autore molto letto anche nelle nostre comunità. Sentirsi amati, Il discernimento sono titoli che si muovono tra teologia e psicologia e in maniera semplice aiutano il lettore a guardare in faccia la sofferenza senza scandalizzarsi”.
Nelle relazioni con i bambini, i ragazzi e i loro genitori, catechisti ed educatori vengono spesso a contatto con le sofferenze che toccano la loro quotidianità legate a malattie di nonni, genitori o altri tipi di sofferenza. Come dare speranza e non lasciare solo chi ha aperto il cuore?
“La capacità di consolare è un carisma che non tutti hanno: le comunità conoscono le persone che hanno questo carisma e possono valorizzarlo.
La fede è consolatrice: nei momenti di dolore va annunciata con forza la fede nella Vita Eterna e nella Resurrezione. Nelle liturgie vanno evitati gesti inadeguati: una liturgia curata nei canti e nell’omelia diventa un annuncio di fede che consola. La fede fa fare un salto di qualità: non è una melassa indistinta ma una speranza forte che arriva dall’esperienza di Cristo, che ha vinto la morte la quale non è più l’ultima parola”.
È possibile però avere qualche indicazione che aiuti a trovare atti di consolazione e conforto nelle varie situazioni?
“Ce lo siamo chiesti e abbiamo girato la domanda ai nostri interlocutori. Don Guido Benzi ci aiuterà ad entrare nel libro biblico di Giobbe: la sofferenza agli occhi di Dio nell’Antico Testamento.
Alberto Pellai ha scritto un libro di recente: da psicoterapeuta potrà offrirci un sostegno. Ha già dato prova di saperlo fare, e con grande stile, in occasione dell’incontro sull’educazione, un rapporto genitori e figli da vivere come un tiro alla fune o come ali da spiegare per volare sulla vita”.
Anche dal punto di vista delle modalità, il convegno rappresenta una novità.
“Negli incontri con i responsabili dei catechisti abbiamo sollecitato riflessioni e domande sul tema del dolore. Sono pervenuti tanti contributi, anche molto toccanti, da catechiste di diverse parrocchie della Diocesi. In forma di interrogativi sono stati girati ai relatori del convegno: li affronteranno nei loro interventi”.
I modi, le attenzioni non possono essere sempre uguali per tutti. Ciò che può andare bene per un bambino o una famiglia non è detto che vada bene per altre.
“Per una sorta di rispetto umano, spesso non sappiamo come affrontare il dolore e la sofferenza altrui. Con i bambini, ad esempio, che fare? Non pretendiamo con il convegno di offrire risposte esaustive ma perlomeno di fermarci di fronte a chi è in difficoltà. Lo indica il logo stesso del convegno: il buon Samaritano. Un’icona biblica che ci invita a non passare oltre la sofferenza perché ci sentiamo inadatti.
L’obiettivo, dunque, è incoraggiare chi si sente debole e far riflettere chi si sente già arrivato ed ha già tutte le risposte pronte. In realtà, sarà il Signore a suggerire a ciascuno le parole migliori e la maniera più consona di accostarsi al dolore e alle situazioni di sofferenza”.
Un’esperienza che nasce dalla fede e va vissuta nella ferialità.
“Il convegno – e il suo tema – non è la conclusione ma l’inizio di un percorso possibile che ciascuna comunità potrà intraprendere”.
Paolo Guiducci