Tradizione e modernità in casa Disney. Per la classicità ci pensano i veterani John Musker e Ron Clements, gli stessi de La Sirenetta e Aladdin (ovvero tappe fondamentali del “rinascimento” disneyano), per il rinnovo ecco la figura determinante del produttore John Lasseter e la tecnica CGI. Per Oceania (Moana in originale) ci si tuffa nell’Oceano Pacifico in compagnia di Vaiana, la nuova eroina più propensa all’avventura che a cercarsi il Principe Azzurro (questa volta assente…), dotata di spirito emancipato e capace di varcare la proibita soglia del reef per riportare il suo popolo all’antica arte della navigazione. Per far questo però c’è da riportare una gemma in un’isola, gemma strappata a suo tempo dal semidio Maui, per i popoli del pacifico una divinità responsabile della creazione delle Hawaii, qui compagno “mutaforma” di Vaiana, un po’ saccente e pieno di sé, con tatuaggi mobili che fungono da voce della coscienza, in un contrasto di personalità che offre scontri spiritosi e successiva comprensione e alleanza.
Racconto di formazione e crescita, storia di relazioni e legami famigliari e recupero delle radici e della storia di un popolo, Oceania offre profondità e divertimento nell’elaborare una vicenda che tocca molti aspetti e che è stata costruita nel massimo rispetto, con tanto di pool di esperti, delle tradizioni e delle credenze delle comunità autoctone del Pacifico.
In questo prodotto Disney non potevano mancare le canzoni: qui ce ne sono di interessanti, tra le composizioni di Lin-Manuel Miranda (l’uomo nuovo del musical di Broadway, suo il grande successo di “Hamilton”) e le note folkloristiche di Opetaia Foa’ì al quale si devono le liriche in lingua nativa, il tutto mescolato dal compositore-produttore Mark Mancina.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani