Carlo non è uno studente modello. Anzi, è tra quelli che più fanno sospirare il prof. Livello di attenzione molto basso e capacità di interazione quasi nulla. Nei suoi occhi il prof però c’ha visto una scintilla. E per farla baluginare l’insegnante si è sciroppato 200 km seguendo Carlo durante una partita di calcio.
Quella di Carlo, delle insubordinazioni scolastiche e dei 200 km percorsi per la partita dello studente, è una delle tante storie vissute da Manuel Mussoni nei suoi primi dieci anni di insegnamento. Dieci anni da prof di religione che il riminese ha condensato in un volume fresco di stampa, Il capitolo più bello del libro. Capace di vendere 300 copie in una settimana, è già un caso e non solo editoriale.
Giovane e carismatico, insegnante e scrittore. C’è già chi la definisce il D’Avenia riminese. Un paragone che la infastidisce?
“Al contrario, mi onora profondamente; ma ad essere onesto mi sento come un ragazzo che il sabato gioca a calcio al parco con gli amici e viene paragonato a Totti o Del Piero. Io sono il ragazzo che gioca a calcio al parco con gli amici…
Il libro era un mio sogno perché amo giocare con le parole e desideravo rendere gli studenti protagonisti, ma mi sento un prof non uno scrittore. D’Avenia invece può permettersi di definirsi in entrambi i modi”.
Insegnante di religione scrive un libro sulla sua esperienza in cattedra: perché?
“Credo che in mezzo alle tante difficoltà di oggi e allo smarrimento dei giovani ciò che salvi sono le storie personali. Ho desiderato raccogliere il patrimonio immenso scoperto in queste stagioni per donarlo a tutti. Il libro è l’occasione per mettere al centro gli studenti e raccontarli a chi si ferma al primo sguardo. Attraverso la scrittura vorrei diffondere speranza e appassionare al compito educativo. Sono stati gli studenti stessi a provocarmi suggerendomi di scriverlo”.
Invece di affidare la prefazione a qualche personaggio in grado di trainare, ha preteso dall’editore che fossero gli studenti a firmarla.
“La prefazione è ciò che offre credibilità al testo, un modo per riconoscerne il valore. Il mio orgoglio è il tempo che passo coi miei studenti. E il libro l’ho fatto per sognare. Di fronte ad una società che recita sempre slogan a favore dei giovani e non fa mai niente per sostenerli veramente, io nel mio piccolo volevo davvero metterli al centro. La prefazione scritta da due miei ex studenti è un motivo di grande gioia per me: il resto rischia di essere solo vanità”.
Ma si può fare scuola con lo “stile” che ha raccontato e che mette quotidianamente in campo? O è solo appannaggio dei prof di religione?
“Io nel libro parlo di un metodo educativo. E nella Introduzione mi rivolgo a chiunque abbia un ruolo nell’educazione. È urgente uno sguardo nuovo e più significativo a tutti i livelli e in ogni ambito. Chiunque sia prof deve far sentire lo studente accolto e rispettato. Uno studente percepisce l’insegnante come un dono solo dopo che è stato l’insegnante a far sentire lo studente stesso un dono. Questo vale anche nel rapporto genitore/figlio o educatore/educato; e vale in tutte le relazioni, anche di coppia.
Io non credo di avere questo stile educativo perché insegno religione, ma perché alcune esperienze hanno maturato in me una sensibilità pedagogica particolare: nelle relazioni non potrei fare a meno di essere così. Credo che sia da superare il modello educativo basato su meriti/colpe e lo stile relazionale condizionato da ragazzi semplici/difficili. L’unico modo per essere riferimento per un giovane è mostrare che si è disposti continuamente a giocare in perdita, a mettere da parte orgoglio ed emotività per misurarsi quotidianamente con un unico sensato criterio: essere dono per l’altro.
O la scuola del futuro è così o non troverà più studenti disponibili all’ascolto. O la famiglia del futuro o è così o non troverà più legami forti di unità. Ciò sarebbe una priorità anche nella politica, ma non vorrei correre troppo”.
Paolo Guiducci