Originario della diocesi di Ventimiglia, mons. Biancheri viene nominato vescovo di Rimini nel settembre del 1953, dopo che la diocesi è stata retta per alcuni mesi dal vicario apostolico Egidio Negrin, vescovo di Ravenna-Cervia.
Tempo di profonde trasformazioni
In una realtà di profonde trasformazioni in campo economico e ambientale, accompagnate da un accentuato inurbamento frutto della crisi dell’agricoltura, mons. Biancheri si distingue per la straordinaria apertura alla dimensione sociale, che, ammonisce, deve impegnare la responsabilità di ogni singolo credente “nello sforzo di far entrare il massimo fermento evangelico nelle istituzioni”.
Per tutti gli anni Cinquanta è in particolare l’Azione cattolica a far proprio l’invito del vescovo. Presente capillarmente nelle parrocchie, accanto ai rami organizzati per età e genere, prevede anche il movimento della Fuci, che opera tra gli universitari, quello del Laureati e, all’interno dei gruppi giovanili, i movimenti dei lavoratori e degli studenti. Sono infatti i gruppi giovanili a dar prova di una maggiore vitalità, grazie anche alla presenza di sacerdoti appassionati, di mentalità aperta, capaci di coinvolgere i ragazzi: don Nevio Ancarani, don Luigi Tiberti, don Giancarlo Ugolini, don Oreste Benzi, don Ferruccio Zamagni.
Testimonianza della ricchezza del fermento culturale di questi anni è la nascita della rivista “Appunti” – che intende farsi interprete “delle aspettative, dei desideri e degli interrogativi di tutti i cittadini, ma in special modo dei giovani” – e di un Centro studi intitolato a Jacques Maritain.
Ma non sfugge a mons. Biancheri che lo scenario culturale sta cambiando rapidamente: “Problemi nuovi e di difficile soluzione – scrive – hanno turbato la vita cristiana delle nostre parrocchie; basti pensare allo spopolamento delle nostre campagne, al fenomeno dell’inurbamento, allo spostamento quotidiano di lavoratori e studenti verso centri maggiori, al grande fenomeno del turismo”. Si tratta di cambiamenti che chiedono di essere affrontati “con decisione e coraggio: dobbiamo conoscerli nella loro portata, nelle loro conseguenze sul piano morale e religioso; dobbiamo discuterli ed approfondirli; dobbiamo impegnarci ad avviarli a valide soluzioni”.
In sintonia col Concilio Vaticano II
Grazie a questa sua sensibilità ai problemi sociali mons. Biancheri riesce a porsi da subito in sintonia con il significato profondo del Concilio Vaticano II, aperto da papa Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962: “È stata sottolineata dentro e fuori dall’ aula conciliare – scrive al termine della prima sessione – la pienissima libertà di esprimere il proprio pensiero. Obiettivo di questa libertà: cercare insieme in confronti di idee sovente complementari, qualche volta – si dovette – dire quasi drammatici, le vie migliori per presentare all’umanità di oggi la Chiesa nel suo volto autentico, nella sua missione di magistero e di santificazione, nel suo messaggio al mondo che rimane oltre le sue frontiere”.
L’importanza del Concilio, dei suoi documenti, la necessità di maturare nei fedeli un atteggiamento di conversione che consenta di accogliere con fede le novità profonde si trovano in tutte le lettere pastorali della Quaresima degli anni che vanno dal 1962 al 1966: in esse sono presentati i documenti a mano a mano che vengono discussi e approvati nelle varie sessioni conciliari.
Concilio: un’attuazione non facile
Ma l’attuazione del Concilio non è facile: i primi anni si presentano infatti ricchi di difficoltà e di scontri tra coloro che intendono riformare e coloro che vorrebbero rovesciare tutto con un atteggiamento ipercritico, senza tener sufficientemente conto che il rinnovamento proposto dal Concilio riguarda prima che le strutture, la vita interiore di ciascun credente.
Questo non frena tuttavia l’impegno del vescovo e dei suoi più stretti collaboratori che pongono mano senza indugio a scelte operative concrete: nel 1966 nasce così in diocesi il Consiglio presbiterale, che inaugura un nuovo stile, che comporta sentire insieme i problemi, affrontarli insieme e mettere a disposizione della comunità i beni di intelligenza, morali e spirituali di ciascuno.
Come ausilio all’opera di discernimento, nel 1967 il presbiterio diocesano dà vita ad un Centro studi, al quale viene affidato l’aggiornamento del clero e dei laici e che promuoverà una scuola di teologia per sacerdoti prima e per laici successivamente. Ad esso viene collegata la “Rivista diocesana”, che sostituisce il “Bollettino ufficiale”. La rivista per dieci anni, sotto la direzione di don Fausto Lanfranchi, di don Aldo Amati e di don Piergiorgio Terenzi, si propone di “approfondire le linee del Concilio, concretizzandole nella vita e nella pastorale diocesana” e di “svolgere una funzione positiva di chiarificazione di idee in un momento difficile e per molti aspetti pieno di incertezze”, facendo emergere una figura di Chiesa viva e in rapporto col mondo.
Due anni dopo nasce il Consiglio pastorale, nel quale sono rappresentate le diverse realtà diocesane. Ad esso – in quanto “espressione del Popolo di Dio nell’unità della sua missione salvifica e nella diversità dei ministeri e delle condizioni di vita” – è chiesto l’impegno nella ricerca di scelte prioritarie in vista di un piano pastorale.
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Cinzia Montevecchi