“Vi chiedo perdono per tutte quelle volte che noi cristiani ci siamo girati dall’altra parte”. In un’Aula Paolo VI gremita di circa 6mila poveri, precari e senzatetto, venuti a Roma per il Giubileo delle persone socialmente escluse (fra loro una trentina di rappresentanti della riminese Capanna di Betlemme della APG XXIII), Papa Francesco ricorda che “la povertà è il cuore del Vangelo” e pronuncia uno dei “mea culpa” più commoventi di tutto l’anno giubilare. “Tutti dobbiamo costruire una Chiesa povera per i poveri”, dice facendo risuonare ancora una volta il sogno del suo pontificato. Accanto a lui, mentre prega ancora a braccio, ci sono i protagonisti dell’ultimo grande evento prima della chiusura. Ciascuno di loro mette una mano sulla sua spalla: “La preghiera dei poveri per il Papa dei poveri”, come l’ha definita il cardinale Barbarin introducendo l’incontro. “Veniamo da 22 Paesi e chiediamo la gioia di avvicinarci un po’ di più al cuore di Gesù”, come faranno i partecipanti all’incontro nel finale a sorpresa. Poi la testimonianza di Etienne Villemain, rappresentante dell’associazione “Fratello“ – che organizza l’evento – e fondatore dell’Associazione Lazare, che da oltre 10 anni gestisce in Francia appartamenti comunitari in cui senzatetto e giovani volontari vivono come in una famiglia. Subito dopo tocca a Christian e Robert, che vivono per strada e oggi hanno l’occasione di abbracciare personalmente il Papa, in una stretta che sembra interminabile.
“Non smettete di sognare, insegnateci a sognare!”. È la doppia consegna iniziale del Papa. “Per me, un uomo e una donna sono molto poveri quando perdono la capacità di sognare, di portare avanti una propria passione”.
“La povertà è nel cuore del Vangelo”, il punto di partenza per quella che secondo Francesco è la cattedra più importante: “Solo colui che sente che gli manca qualcosa guarda in alto e sogna, colui che ha tutto non può sognare”.
“Le persone semplici seguivano Gesù perché sognavano”, ricorda Francesco: “Insegnate a tutti quelli che hanno tutto, a quelli a cui non mancano il cibo e le medicine, insegnateci a non rimanere soddisfatti. Insegnateci a sognare, a partire dal cuore del Vangelo”.
“Dignità”. Nasce ai piedi di questa parola, la cattedra dei poveri. Dignità, spiega Francesco, è “la capacità di trovare la bellezza anche nelle cose più tristi e più toccate dalla sofferenza”.
“Poveri sì, ma sfruttati no”, raccomanda il Papa a proposito di quest’ultima categoria. “Poveri sì, ma schiavi no!”, esclama ancora Francesco.
“Insegnate la solidarietà al mondo”, l’altro invito. “Quando c’è la ricchezza uno si dimentica di essere solidale”, mentre “quando sei povero diventi solidale, e questo ti fa tendere la mano a chi ha una situazione più difficile della tua!”.
“Vi chiedo perdono per tutte quelle volte che noi cristiani ci siamo girati dall’altra parte”. È il passaggio più forte del “mea culpa” pronunciato dal Papa al termine del discorso. “Vi ringrazio e vi chiedo perdono se qualche volta vi ho offesi con le mie parole, se non ho detto le cose che avrei dovuto dire”, comincia Francesco: “Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo trovandone al centro la povertà. Per tutte quelle volte che noi cristiani, di fronte a persone povere o a situazioni di povertà, ci siamo girati dall’altra parte”.
“Tutti dobbiamo costruire una Chiesa povera per i poveri”, la consegna di Francesco, che conclude l’incontro con una preghiera. Poi, senza clamore ma con una dolce determinazione, le persone senza fissa dimora si avvicinano spontaneamente al Papa per pregare insieme a lui mettendogli una mano sulla spalla, come aveva chiesto il cardinale Barbarin all’inizio: “La preghiera dei poveri per il Papa dei poveri”.
M. Michela Nicolais