“Una perdita terribile ma dobbiamo pensare a ridare vigore a quei forti legami storici e di fede delle comunità colpite con i loro luoghi, riedificando anche strutturalmente quanto distrutto dal sisma”.
Un lavoro iniziato subito dopo il terremoto del 24 agosto e che ora rischia di essere vanificato dalla forte scossa del 26 ottobre che ha investito ampi territori delle Marche e dell’Umbria, oltre alle zone già note di Amatrice, Accumuli, Arquata e Pescara del Tronto.
Lo sa bene don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale Beni culturali ecclesiastici della Cei, che in questi due mesi e più, con il suo ufficio si è attivato, insieme a quelli delle diocesi colpite (Rieti, Ascoli Piceno, Spoleto-Norcia, Camerino-San Severino Marche e Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia), per cercare di fare il punto sulla distruzione dell’ingente patrimonio storico e artistico di queste terre, memoria delle secolari radici spirituali dei suoi abitanti.
“Non è il momento di atteggiamenti paternalistici – spiega don Valerio – anche per rispetto di quelle persone che hanno perso tutto, anche la vita. Occorre fornire risposte concrete ai bisogni della gente e tra questi anche quello di ridare fiducia per andare avanti.
Il patrimonio ecclesiastico individua una storia, una cultura e una tradizione radicate nel territorio.
Quando questa eredità di luoghi viene scossa, distrutta, abbattuta, quindi non più direttamente accessibile alla vita quotidiana – preghiera, celebrazioni, raccoglimento, incontri – tutto ciò crea nelle persone instabilità verso il futuro”.
Sullo sfondo un’emergenza che rischia di durare a lungo dopo la scossa del 26 ottobre che, riconosce don Pennasso, “ha rimesso in piedi tutte le questioni alle quali si stava dando una risposta. Proprio in questi giorni avremmo dovuto tenere una riunione di programmazione per gli interventi ma è stata rimandata a lunedì prossimo. Le squadre di rilevamento stanno facendo sopralluoghi da due mesi e il timore che l’emergenza possa durare a lungo è reale visto che le scosse non cessano. Siamo ritornati alla situazione del 24 agosto con un cratere sismico ampliato dall’ultima scossa e le situazioni degli edifici in pericolo ulteriormente aggravate”.
Nelle diocesi il lavoro procede. Gli uffici locali per i beni culturali ecclesiastici stanno procedendo ai rilievi della situazione per avere un quadro puntuale dello stato del patrimonio ecclesiastico che, ricorda don Pennasso, “non è fatto solo di chiese, ma anche di canoniche, oratori, luoghi di incontro e di attività pastorale. Vengono poi redatti degli elenchi e, di concerto con l’Unità di crisi regionale e nazionale, si cerca di programmare i sopralluoghi degli edifici che sono stati dichiarati ‘inagibili’ perché si possa dare alle popolazioni una risposta immediata laddove c’è maggiore necessità e dove è possibile svincolare dall’inagibilità gli edifici che possono tornare utili immediatamente”.
Il passaggio successivo è quello dell’analisi e della valutazione dei danni, sulla base dei quali, afferma il sacerdote, “Conferenza episcopale italiana e Ministero dei Beni e delle Attività Culturali concerteranno degli interventi. La priorità è dare una risposta alla gente restaurando o ricostruendo, quanto prima, l’edificio danneggiato, caduto o reso inagibile dalle scosse telluriche”.
Ricostruire senza illudere. Sottolinea don Pennasso:
“Non illudere la gente. Stiamo dicendo che tutto tornerà dove e come era prima, ma le ferite provocate dal sisma rimarranno per tanto tempo come testimoniano esperienza di terremoti passati. I segni che lasciano sono profondi e durevoli. I terremoti segnano delle cesure come anche delle possibilità anche nuove. La ricostruzione andrà nella direzione del servizio alle persone perché possano riavere la normalità della loro vita”.
Di fronte a questi drammi “l’importante è non restare soli. Le comunità non saranno abbandonate. Nessuno sarà lasciato ai margini. La Chiesa, come ha detto il cardinale Bagnasco nella sua visita ad Amatrice, è al fianco e camminare con la popolazione. Saremo vicini alla gente come lo siamo stati fino ad oggi”.
Daniele Rocchi