Povertà, accoglienza, integrazione, cultura, università. Sono i temi portanti del discorso pronunciato dal vescovo Lambiasi in occasione della festa del patrono San Gaudenzo. Già il titolo è una proposta-provocazione: “Per una cultura del “noi”. “Vogliamo aprire porte o blindare cancelli?”, è uno degli interrogativi lanciati dal presule.
Tra i temi di attualità riminese toccati, l’integrazione dei nomadi che lasceranno il campo di via Islanda (visitato proprio alcuni giorni fa dal vescovo) e la situazione del Fondo del Lavoro, che necessita di sostegno economico per continuare la sua importante attività.
L’intervento del Vescovo Lambiasi è un dicorso “per” la città e “con” la città, pronunciato sì alle autorità ma messo a disposizione dell’intera città e di tutto il territorio diocesano. Quali reazioni sta suscitando l’invito ad abbracciare la “cultura del noi?”.
Il discorso del Vescovo Francesco si conclude con un invito che riteniamo racchiuda in sé una forza evocativa eccezionale e che non ci può lasciare insensibili; ci chiama infatti ad esercitare l’arte (essere artigiani) della solidarietà e della pace. E luogo privilegiato ove andare “a bottega” per apprendere quest’arte è indubbiamente la famiglia che, non a caso, ritorna più volte nelle parole del Vescovo come luogo da tutelare, senza distinzione in merito alla sua provenienza, in una logica di vera apertura.
Tutela che nel discorso emerge con particolare riferimento a due nodi focali – il lavoro e la casa – che consentono alle famiglie di mantenere la propria dignità e conseguentemente essere luoghi privilegiati ove apprendere e far circolare il rispetto verso l’altro.
Vi è pace, infatti, laddove l’uomo può nobilitare e santificare la propria vita tramite il lavoro e vi è solidarietà se si è disposti a mettere a disposizione le proprie case, a fronte di un canone equo, per offrire un riparo dignitoso a tutti e in particolare ai bambini.
L’invito posto dal Vescovo, quindi, auspichiamo che non venga compreso come rivolto unicamente ai singoli cittadini, ma direttamente anche alle famiglie riminesi, affinché nell’esercitare l’arte della solidarietà e della pace nei confronti delle altre famiglie, aprano le porte delle proprie case, rifuggendo la logica della chiusura o, usando le parole del Vescovo, della blindatura dei cancelli.
Giuliano Zamagni
Presidente Forum delle Associazioni Familiari di Rimini
Il Vescovo ha sottolineato il tema dell’accoglienza, che vede anche nella prefettura in un luogo importante. È una sfida difficile, ma è una sfida che si può superare. È una sfida che fino a questo momento grazie alla generosità di Rimini siamo riusciti ad affrontare in maniera più che decorosa. Ci auguriamo di poter continuare a farlo perché le difficoltà sono tante. Mi riferisco soprattutto ai minori che arrivano da altri Paesi o che si trovano in sitauzioni difficili. Voglio sottolineare che noi, fino a questo momento, non abbiamo mai trascurato questa problematica. È sempre stata affrontata, nessun ragazzo è mai stato abbandonato a se stesso. Recentemente abbiamo avuto un incontro molto costruttivo, con gli organi della magistratura, per cercare di costruire una strategia comune che possa garantire ai minori che arrivano sul nostro territorio tutte le attenzioni possibili, le cure dovute e tutti i diritti di cui un minore deve assolutamente godere: il diritto di crescere, il diritto di avere una istruzione, il diritto di avere una formazione, il diritto di avere affetti e il diritto di giocare”.
Giuseppa Strano, Prefetto di Rimini
Per una cultura del “noi” è un invito talmente forte che è in grado di invitare alla riflessione chiunque, al di là del proprio credo. Il messaggio che il Vescovo ha rivolto alla città di Rimini e alle autorità, personalmente, mi ha permesso di guardare da una prospettiva diversa temi fondamentali per la nostra realtà: lavoro, la necessità di valorizzare il turismo religioso e l’arte sacra, le potenzialità del polo universitario, le situazioni di povertà che segnano la quotidianità di molte famiglie. Il tutto cercando sempre più di valorizzare Rimini come città internazionale della cultura. Chi ricopre ruoli, in ogni contesto e ad ogni livello, per i quali si trova al servizio dell’intera collettività, ha il dovere di tenere in stretta considerazione quelle parole.
Matteo Petrucci, consigliere comunale Rimini
Il discorso del Vescovo alle autorità cittadine comincia con un grande e comune denominatore: il bisogno di promuovere e diffondere la cultura del “noi”. Di una cultura si tratta: di quella mentalità sottile che permea discorsi, atteggiamenti e scelte quotidiane, arrivando a formare il substrato del dibattito pubblico e dell’orientamento politico. La prospettiva del discorso è aperta sui grandi mutamenti di questo tempo, anzi su un’epoca che muta, in cui si vivono l’insicurezza e la paura, cercando un facile capro espiatorio in profughi ed immigrati. Credo che questo costituisca un grande obiettivo educativo nei confronti dei più giovani, ma difficile da gestire, se gli adulti-educatori non sentono, loro per primi, la necessità di cambiare approccio culturale.
Si può partire da piccoli gesti. Penso a Valentine, il giovane nigeriano che mi viene a trovare ogni giovedì e, davanti ad una tazza di caffè consumata lentamente, un pezzo alla volta mi racconta di sé e mi ha insegnato la pazienza di costruire una relazione e la voglia di conoscere. Un altro appello forte del discorso del Vescovo è quello all’accoglienza. A Rimini non ce la siamo mai dimenticata, ma oggi l’accoglienza non può essere soltanto l’espressione della cordialità di romagnoli o una strategia economica più qualificata e corrispondente alle attese dei turisti.
L’accoglienza è la caratteristica stabile di una comunità civile che si occupa della dignità di vita di tutti, non è solo emergenza. L’emergenza è un terremoto o un’alluvione, la città può parlare al massimo di sfide: la risposta al problema della casa, ai profughi di via Islanda, ai migranti minorenni ed ad altro ancora va considerata come un impegno programmatico.
Mirna Ambrogiani
Presidente Azione Cattolica di Rimini
Sono tante cose di cui ci dobbiamo preoccupare in questo tempo. Il Vescovo ha parlato, giustamente, di accoglienza, integrazione, politiche nazionali che poi si traducono in politiche locali. Ma quali sono le priorità da seguire? Per noi, la prima cosa è quella di salvare vite, come stiamo facendo; in molti casi anche con difficoltà, con l’Europa che non si assume le sue responsabilità. In generale le priorità sono quelle di creare le condizioni perché tutti gli esseri umani abbiano pari dignità, a partire dai minori. Ma di questo si devono rendere conto non solo i cittadini italiani ma, per primi noi amministratori. Dobbiamo avere consapevolezza di tutto quello che sta accadendo nel mondo. Noi che abbiamo responsabilità, dobbiamo comprendere che una persona che fugge dalla sua terra non fugge perché vuole scappare. Fugge perché non ci sono le condizioni per rimanere. Perché c’è la morte, la disperazione… là non c’è altro. Io ricordo sempre ciò che è successo qui, da noi, nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Allora, se San Marino, quella piccola Repubblica, non avesse aperto le sue frontiere, le sue porte, per noi italiani sfollati sarebbe stata una carneficina.
Prendiamo questo come esempio. E, allo stesso tempo credo che dobbiamo anche non vedere nell’altro una minaccia, come in molti casi purtroppo accade. Ogni giorno nelle dichiarazioni rilasciate, nelle azioni portate avanti, si scende sempre più di livello.
Credo allora sia importante che le istituzioni facciano fino in fondo, a tutti i livelli, ciò che deve essere fatto, dotarsi di una legislazione che dia risposte, che impegni anche coloro che sono arrivati a casa nostra. Come fa, ad esempio, il comune di Rimini che impiega le persone che vengono accolte sul nostro territorio, in lavori socialmente utili. In poche parole: maggiore sensibilità, ma soprattutto azioni e opere concrete. È questo il messaggio che ho colto anche nelle parole del vescovo Francesco.
Le comunità, le società mutano nel tempo. Ci sono Paesi che hanno avuto a che fare molto prima di noi con l’immigrazione; noi siamo arrivati probabilmente in modo diverso perché avevamo una situazione che non consentiva di accogliere tantissime persone. Mi riferisco agli anni ’80 quando arrivarono i primi immigrati, con i primi centri di accoglienza nel sindacato. Allora gli abbiamo dato una opportunità per lavorare, per integrarsi, e molti di loro hanno qui le loro famiglie, si sentono come noi… riminesi.
Tiziano Arlotti, deputato