In modo tuttavia particolare amò i pellegrini. E poiché Gesù Cristo avea detto: io fui ospite sulla Terra, e voi mi albergaste (Matteo, 25), questi erano il principale oggetto delle sue delizie. Gli accoglieva pertanto con viscere di carità nella propria casa, lavava i loro piedi, somministrava ad essi il necessario alimento, li riscaldava, prestava letti al loro riposo, né mai li dimettea senza aver prima procurato il bene delle loro anime con opportune istruzioni e salutevoli avvertimenti. E a tal segno sincera e costante fu la carità di Amato verso de’ poveri pellegrini, che dopo aver loro giovato per ogni maniera finché visse, volle perpetuarne anche dopo morte i benefici effetti lasciando la propria abitazione in retaggio ai medesimi. (A. Fronzoni, Della vita delle virtù e de’ miracoli del Beato Amato Ronconi di Saludecio, Bologna 1818, II ed, pp. 23-25)
Amato è vissuto nella seconda metà del Duecento ed è noto soprattutto per i suoi frequenti e lunghi pellegrinaggi. Era un piccolo possidente terriero, lavorava la sua terra e aiutava gli altri a lavorare la loro, e abitava con una sorella di nome Chiara alle porte di Saludecio. Per la sua castità, la sua devozione, la sua umiltà fu a lungo dileggiato e calunniato dai compaesani, che solo tardi, grazie alla sua costanza e umiltà e ad alcuni miracoli, ne compresero la santità. Amato fu un appassionato pellegrino, prima ai luoghi sacri ricchi di reliquie che si trovavano nelle vicinanze, poi nella lontana Compostela (finis terrae), alla tomba di san Giacomo apostolo, dove si recò per ben quattro volte. Avendo sperimentato di persona la durezza del pellegrinaggio, volle dedicarsi all’assistenza dei pellegrini, ospitandoli nella sua casa, che si trovava proprio sulla Fla-minia minor, la strada preferita come la più sicura da chi al suo tempo si recava in pellegrinaggio a Roma alla tomba degli apostoli Pietro e Paolo.
In questa attività esercitò molte opere di misericordia corporale: quelle di alloggiare i pellegrini, innanzitutto, e poi quelle di dar da mangiare agli affamati e di dar da bere agli assetati. Ma anche alcune delle opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, come giustamente ha rilevato don Antonio Fronzoni nel brano su riportato, estratto dalla Vita del Beato Amato Ronconi scritta all’ inizio dell’Ottocento.
Dalla stessa biografia sarà bene rileggere anche il vivace brano seguente, riguardante uno dei famosi miracoli operati in favore dei pellegrini: «Avendo un giorno Amato seminati nel suo orticello i semi delle rape, ritornato in casa vi trovò concorsa una straordinaria moltitudine di poveri pellegrini, che secondo il solito chiedevano albergo ed alimento. Rivoltosi pertanto alla Sorella Chiara le dimandò se nulla eravi di provvisione, onde ristorare gli amati ospiti. Nulla appunto, rispose la pia donna, fuori di pochi e scarsi tozzi di pane: ma questi che faranno divisi fra tanti? Andate dunque, soggiunse allora Amato, nel nostro orto, e raccogliete tant’erbe quante siano bastevoli all’uopo. Ma quali erbe, replicò la sorella, volete voi raccorre dall’orto, che in questo medesimo giorno avete coltivato per seminarvi le rape? Allora Amato tutto acceso nel volto, e preso contegno d’insolita gravità […]: Andate dunque, vi ripeto, nell’orto, ed appunto le rape seminate in questo giorno raccogliete ed apprestate. Ubbidì la buona Serva di Dio al comando del santo Fratello, e calata nell’orto vi trovò con suo stupore le rape nate, cresciute, e maturate ad insolita grandezza: ne raccolse l’occorrente quantità, e preparate le apprestò ai numerosi poverelli, i quali tutti abbondantemente si satollarono, e compresi da alta meraviglia della santità, e prodigiosa virtù del Beato, ne divulgarono il miracolo sino alle terre più rimote».
Questo “miracolo delle rape” viene puntualmente illustrato in una tela del raro pittore urbinate Ludovico Viviani (? – 1649), fratello del più noto Antonio, che originariamente ornava la cappella del Beato nella vecchia chiesa parrocchiale di Saludecio e che ora è conservata nel “Museo di Saludecio e del Beato Amato” annesso alla stessa chiesa. Faceva parte di una serie di nove tele (ne sono superstiti solo due), ordinate nel 1603 e consegnate (o comunque pagate) nel 1606, raffiguranti vari episodi della vita di Amato. È molto suggestivo soprattutto per l’atmosfera sospesa e romantica che il pittore è riuscito a crearvi, con il Santo Beato che serve le rape ai tre pellegrini seduti a tavola, alla presenza della sorella Chiara ancora visibilmente sbalordita. Da notare l’abito del Beato: un lungo saio nero da benedettino, non da pellegrino (nonostante la canonica conchiglia); in verità egli era terziario francescano, ma con il suo testamento (10 gen-naio 1292) si sottometteva appunto all’ordine di san Benedetto, cui donava i suoi beni: tale scelta forse era dovuta all’autorevole e massiccia presenza nella Valle del Conca di questo antico ordine monastico, che allora poteva apparire più stabile e dare maggiori garanzie del francescanesimo appena ai suoi inizi.
La chiesa parrocchiale di Saludecio, eretta a santuario nel 1930, conserva tuttora il corpo di questo santo pellegrino, dichiarato ufficialmente santo da papa Francesco nel 2014, al termine di un lungo processo di canonizzazione promosso dal Comune e dalla Parrocchia (potremmo dire dal governo laico e religioso) uniti nella vivissima devozione al beato Amato, da sempre ritenuto il protettore di Saludecio. Municipio e parrocchia erano stati gli attori principali anche del processo di beatificazione concluso nel 1776. Fino ad ora il suo culto è stato eminentemente locale, con una limitata diffusione in una parrocchia del Riminese (San Lorenzo in Correggiano) e soprattutto nel territorio Pesarese.
Pier Giorgio Pasini