Il centenario della morte di fratel Carlo di Gesù (Charles de Foucauld) è l’occasione per ritornare ad attingere all’esperienza spirituale di questo cercatore di Dio che fu profeta, nel suo modo particolare di vivere la sequela di Cristo, di quel momento d’incremento d’intelligenza evangelica che è stata la celebrazione del Concilio Vaticano II.
Fratel Carlo rappresenta per la storia della Chiesa un punto di non ritorno, la cui profezia è caduta nel deserto del Sahara come un «chicco di grano» e che si potrebbe riassumere in un suo pensiero di rara intensità e densità: «La Chiesa conquista quando la carità conquista».
Quel seme è marcito a lungo fino a portare il suo frutto in quei discepoli e discepole che non ebbe in vita, ma gli furono concessi dopo la morte e attraverso il cui carisma è diventato sentire comune e necessario per l’intera Chiesa.
La vita di fratel Carlo ha, in certo modo, scardinato tutte le strutture che si ritenevano irrinunciabili per assicurare una vita consacrata di perfezione che fosse degna di questo nome. Remotamente, la sua indole di esploratore nato ha aperto nuove piste e nuovi cammini ben prima che il Concilio Vaticano II ne prendesse coscienza, li rendesse possibili e li indicasse come sfide da onorare.
Perché fratel Carlo è così importante?, ci si potrebbe chiedere. Uno dei motivi è che, quasi senza volerlo, ha rivoluzionato radicalmente i costumi
ecclesiastici a partire da una conversione della vita di perfezione – si intende con questo termine la vita consacrata – al Vangelo. È di fratel Carlo l’idea che un consacrato deve essere fino in fondo tale, ma senza sottrarsi al peso della vita degli altri uomini, anzi divenendone – come Gesù a Nazareth – solidale fino in fondo e fino alla morte. Tante realtà di condivisio¬ne e di apertura, che oggi sembrano così naturali nella vita consacrata post-conciliare, come pure nella vita cristiana di tutti i fedeli, sono state intuite e preparate proprio dalla sua ricerca e dal suo vissuto che sono stati esattamente quelli appunto di dissodare.
L’intera e travagliata esistenza di fratel Carlo è stata un continuo viaggio di esplorazione, fino a tracciare una nuova via possibile non per arrampicarsi verso la perfezione del cielo, ma per scendere e impastare il desiderio di Dio con la condivisione della vita di tutti, interessandosi alla quotidianità e alla banalità del vissuto degli altri: «Scendiamo anche noi, con coloro che ci sono vicini, nei piccoli dettagli della salute». L’attitudine maturata da fratel Carlo ricalca e, in certo modo, ravviva lo stile proprio dei primi discepoli. L’esempio di fratel Carlo rappresenta, prima di tutto, la prova evidente che si può imparare l’essenziale della vita proprio da chi riteniamo non ne conosca appieno il senso e che, nondimeno, ne trasmette la realtà: nato cristiano riscoprì il suo battesimo a contatto con l’islam!
Il grande lavoro per noi è quello di accettare l’altro, creare le condizioni di una reciproca comprensione con l’altro. In questo momento abbiamo di fronte una scelta importante: dobbiamo porre le condizioni o di una crescente incomprensione o di una possibile comprensione fra gli umani non ancora completamente umanizzati, e stiamo parlando di noi occidentali, che pur ci riteniamo altamente civilizzati, e non solo degli altri! Nei confronti dei fratelli che vivono dall’altra parte del “mare nostrum”, di fatto, abbiamo molti debiti e non possiamo sottovalutarlo. Gli eventi consumatisi alle Torri Gemelle di New York e al Bataclan di Parigi, senza dimenticare l’aeroporto e il metrò di Bruxelles, possono essere motivo di ulteriore chiusura, giustificata da un superficiale atto di vittimismo come reazione a un inescusabile atto di terrorismo, o possono permettere un passo di consapevolezza che esige anche, la capacità di un esame di coscienza.
Fratel Carlo lo comprese più di un secolo fa mentre noi non lo abbiamo ancora interamente compreso.
Si fa sempre più urgente prendere atto che il rapporto con l’islam è un grande appello che esige umiltà verso il passato e generoso amore per il futuro, al fine di essere sempre più capaci di apertura non accontentandosi della tolleranza verso il diverso, ma passando alla piena accoglienza di ogni persona come sacramento della rivelazione del Dio Altissimo, il cui volto è sempre al plurale.
Michael Davide Semeraro