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Vestire gli ignudi

s-martino

Un giorno, nel mezzo di un inverno più rigido del solito, al punto che numerose persone morivano a motivo dei rigori del freddo, mentre non aveva addosso niente altro che le armi e il semplice mantello militare, sulla porta della città di Amiens, si imbatté in un povero nudo: l’infelice pregava i passanti di avere pietà di lui, ma tutti passavano oltre. Quell’uomo di Dio, vedendo che gli altri non erano mossi a compassione, comprese che quel povero gli era stato riservato. Ma che fare? Non aveva nient’altro se non la clamide, di cui era rivestito: infatti, aveva già sacrificato tutto il resto per una buona opera analoga. Allora, afferrata la spada che portava alla cintura, tagliò il mantello a metà, ne diede una parte al povero, e indossò nuovamente la parte rimanente. Intanto alcuni dei presenti, trovandolo brutto a vedersi a motivo di quell’abito tranciato, si misero a ridere. Molti altri, tuttavia, più sensati, cominciarono a dolersi profondamente di non avere fatto niente di simile, mentre, avendo più vestiti di lui, avrebbero potuto vestire il povero senza denudarsi a loro volta.
Dunque la notte seguente, mentre dormiva, Martino vide il Cristo, rivestito della parte della sua clamide con cui aveva coperto il povero. Gli fu ordinato di guardare attentamente il Signore, e di riconoscere la veste che aveva dato. Poi, udì Gesù dire con voce chiara alla moltitudine degli angeli che gli stavano intorno: «Martino, che è ancora un catecumeno, mi ha coperto con questa veste». Il Signore è veramente memore delle sue parole, egli che un tempo aveva detto: Ogni volta che avete fatto queste cose a una sola di queste umilissime creature, l’avete fatta a me (Matteo 25, 40), dichiarò di essere stato vestito nella persona di quel povero: e, per con-fermare la testimonianza di un’opera così buona, Egli si degnò di mostrarsi nello stesso abito che aveva ricevuto il povero. Questa visione non inorgoglì il beato, ma, riconoscendo la bontà di Dio nella sua opera, poiché aveva diciotto anni, si affrettò a ricevere il battesimo. Tuttavia, convinto dalle preghiere del suo tribuno, che era suo compagno di tenda ed amico, non rinunciò subito al servizio militare. Costui, infatti, una volta compiuto il tempo del suo tribunato, prometteva di rinunciare al mondo. Martino fu trattenuto da questa attesa e per circa due anni dopo che ebbe ricevuto il battesimo, rimase soldato, ma soltanto di nome  .

Questo brano è tratto dalla Vita Martini scritta da Sulpicio Severo intorno al 397, cioè subito dopo la morte del santo, che dopo aver militato nella guardia imperiale nelle Gal-lie fu monaco e vescovo. Martino era nato in Pannonia (Ungheria) verso il 316 da un ufficiale romano e in quanto figlio di un ufficiale fu costretto ad arruolarsi nell’esercito, dove rimase per alcuni decenni e dove raggiunse il grado di ufficiale. Si congedò nel 356, deciso a farsi monaco, e infatti a Poitiers fondò uno dei primi monasteri d’Occidente. Nel 371 fu eletto vescovo di Tours, e si impegnò fortemente in opere di apostolato e di carità e nella lotta all’arianesimo. Morì nel 397, e la sua fama di santità si diffuse immediatamente nell’occidente cristiano, sostenuta da molti miracoli. È uno dei patroni della Francia e il titolare di innumerevoli chiese sparse nel mondo (e anche nella nostra diocesi).
L’episodio del mantello divulgato da Sulpicio, che del santo era stato amico e discepolo, è uno dei più celebri della sua vita, e costantemente presente nella sua iconografia; ben si presta ad illustrare la terza delle sette opere di misericordia corporale: vestire gli i-gnudi.

L’immagine qui proposta non è molto conosciuta perché si tratta del particolare di una pala raffigurante la Madonna con il Bambino in gloria e i santi Martino e Giovanni Battista (e un committente) che ora si trova nella chiesa di San Francesco Saverio (il Suffragio), ma che originariamente era nella distrutta chiesa parrocchiale di San Martino, in cui figurava all’altar maggiore. È opera di un pittore veneto, Niccolò Frangipane (not. 1563-1597), attivo negli ultimi decenni del Cinquecento nel Veneto e fra Romagna e Marche. Per le chiese riminesi nel 1585-86 aveva dipinto diverse opere, delle quali sono superstiti solo questa pala del Suffragio e una Salita al Calvario conservata nel Museo civico “L. Tonini”: dipinti piacevoli, ma arcaizzanti e di scarsa originalità, tributari dell’arte veneta, soprattutto del grande Tiziano.
Nella pala del Suffragio, sotto alla Madonna con il Bambino sostenuta dalle nuvole e un coro d’angeli che le porgono dei fiori, campeggiano le figure di San Martino e del Bat-tista. Quest’ultimo deriva puntualmente da un dipinto di Tiziano, mentre l’altro santo si presenta come un vecchio vescovo assistito da un sacerdote (evidentemente il commit-tente del dipinto) che gli offre il pastorale; nel vasto paesaggio raffigurato nello sfondo sono dipinti il battesimo di Gesù e il miracolo del mantello.
Nicolò Frangipane è stato uno dei molti pittori veneti che, non reggendo alla concorren-za degli artisti maggiori con le loro organizzatissime botteghe, hanno quasi sempre la-vorato come artisti itineranti lontano dalla patria, soprattutto nell’Italia centrale. A Ri-mini nella seconda metà del Cinquecento troviamo numerose altre opere venete, anche di artisti molto importanti (da Paolo Veronese a Domenico Tintoretto a Jacopo Palma il giovane) che si affiancarono a molti artisti marchigiani e al riminese Giovanni Lauren-tini detto l’Arrigoni nell’incrementare e nell’aggiornare secondo i dettami del Concilio di Trento le immagini religiose, ritenute – oltre che elementi di decoro – efficaci stru-menti didattici e devozionali.
(1) Sulpicio Severo, Vita Martini, cap. III, 1-6.

Pier Giorgio Pasini