Quell’appello non lo ha lasciato indifferente: “C’è necessità di sacerdoti e psicologi”. Per una prima parvenza di ritorno alla normalità, Amatrice e le altre zone colpite dal terribile terremoto, anche queste figure sono necessarie. E don Fabio Venturini, 49 anni, ha subito risposto presente. Lo ha sempre fatto. Riminese, una brillante carriera da medico in ambito universitario (a Bologna) più che avviata, don Fabio ha risposto “sì” anche vent’anni fa, quando la chiamata di Dio lo ha incamminato verso gli Stati Uniti, seminario “Redemptoris Mater” della Diocesi di Newark: qui si formano presbiteri per la nuova evangelizzazione, come chiedeva Giovanni Paolo II.
In obbedienza alla chiamata ricevuta, don Fabio (ordinato nel 2002) si è speso senza sosta tra Stati Uniti, Terra Santa e paesi arabi, sfruttando anche la sua capacità con le lingue.
Quando la terra ha tremato, ad Amatrice, nel Lazio e nelle Marche, don Venturini era in Italia, nella sua Rimini, per qualche settimana di vacanza. “Ma come si può rimanere tranquillamente seduti quando accadono fatti del genere?” si è chiesto dopo aver ascoltato l’appello per una presenza sacerdotale tra le macerie e i sopravvissuti. Detto fatto, è partito subito alla volta di Amatrice, accompagnato da Josef, il seminarista che lo accompagna nel viaggio italiano. Israeliano ma capace di esprimersi in corretto italiano. “Un’esperienza sui luoghi della distruzione, del dolore e della ricostruzione l’avevo già affrontata in precedenza, in occasione del sisma che colpì l’Aquila e l’Abruzzo. – racconta don Fabio – Questa volta, però, l’impatto è stato decisamente diverso”. Si passa le mani tra i pochi capelli rimasti, il prete riminese.
La desolazione nei paesi annientati dal sisma si tocca con mano, nonostante residenti, volontari e Protezione Civile si diano un gran daffare. La disperazione, però, affiora ad ogni passo. “Semplicemente: mi sono reso disponibile 24 ore su 24. Per confessare, celebrare messa, direzione spirituale, o solamente per ascoltare racconti, sfoghi e bisogni delle persone”. È iniziata una spola tra i 10 campi allestiti dalla Protezione Civile nella zona. Le persone avevano poca voglia di raccontarsi. “Anche col prete. Regna l’afflizione. Chi sta soffrendo non riesce a dire una parola. Sono paesi in cui il tessuto religioso si è sfilacciato già da tempo. A Messa c’erano poche persone, e pochi erano coloro che cercavano conforto”. Più volontari che residenti, in ogni caso. Persone impegnate a prestare soccorso, ad aiutare i terremotati a rialzarsi, a riprendere una parvenza di vita normale. Persone, anche i volontari “con storie anch’esse dolorose, di separazioni, di ferite affettive, di cause in tribunale, di incomprensioni familiari”. E don Fabio, quale risposta ha portato il presbitero riminese a chi lo cercava per un colloquio? “Nessuna sentenza. In punta di piedi ho ascoltato le storie di quanti si sono avvicinati a cuore aperto. A tutti ho trasmesso la certezza che Dio accompagna, precede e segue. Non sono soli, non siamo soli. E la morte non è mai l’ultima parola”.
Il servizio di don Fabio tra le tendopoli non è passato inosservato: anche il Tg4 lo ha intervistato. Il giornalista di Mediaset è rimasto spiazzato dalle risposte del prete riminese. “Tutti viviamo le nostre piccole Amatrici, i nostri piccoli terremoti, come hanno confermato gli incontri di questi giorni. Ma la domanda per tutti è: si può essere felici anche in una tendopoli? Se Dio c’è, sì. – sorride don Fabio – Se la nostra casa è costruita sulla roccia, quella che – pure in presenza di un terremoto – non crolla.
Paolo Guiducci