I pesticidi sono veleni. E questo è un fatto, inoppugnabile. Sono veleni come lo sono gli antibiotici, sostanze velenose per noi uomini solo in minima parte ma che assumiamo per uccidere i ben più pericolosi batteri, secondo la logica del “male minore”. La stessa logica che giustifica l’utilizzo dei fitofarmaci e degli antiparassitari in agricoltura, prodotti destinati a controllare o eliminare qualsiasi organismo, dai microrganismi alle piante infestanti passando per gli insetti, potenzialmente nocivi per la produzione agricola e, di conseguenza, per la nostra alimentazione. Il “male minore”. Ma l’utilizzo di questi prodotti (diserbanti, fungicidi, insetticidi, nematocidi, erbicidi), naturali e biologici ma anche, spesso, chimici e sintetici, rappresenta davvero il male minore? O possono causare danni all’ambiente e all’organismo umano tutt’altro che trascurabili? Il dibattito sui pesticidi si fonda proprio su queste domande.
Un dibattito vivo e acceso ormai da decenni che però è tornato attuale nel nostro territorio in tempi recenti, a causa di un vero e proprio allarme lanciato da Legambiente Emilia Romagna. Infatti, da un insieme di studi condotti dall’associazione ambientalista a inizio estate (i cui risultati sono stati raccolti e pubblicati nel “Dossier Pesticidi in Emilia-Romagna”) emerge come ancora oggi vengano utilizzate sostanze chimiche considerate pericolose per la salute, nei campi dell’agricoltura locale.
L’effetto cocktail
Ma non solo. Dalle analisi condotte emerge infatti che l’uso di tali sostanze “non si limita al solo comparto agricolo ma se ne fa spesso abuso anche in aree urbane: i fitofarmaci – si legge nel dossier – si ritrovano in modo generalizzato e spesso massiccio nelle acque superficiali della regione, con un elevato numero di sostanze contemporaneamente. È una situazione allarmante: si rintracciano presenze di pesticidi nella maggior parte dei campioni di acque superficiali analizzati, numerosi sono i superamenti dei limiti di legge e delle soglie cautelative e si riscontra la presenza di più principi attivi contemporaneamente, dando vita ad una sorta di effetto cocktail”. Sono infatti ben 65 i principi chimici diversi rilevati, spesso simultaneamente negli stessi punti analizzati (fino a 32 sostanze diverse in una volta), mentre è dell’80% la percentuale dei punti monitorati in cui si è registrata la presenza di pesticidi, e del 60% quella dei fitosanitari rintracciati nei prelievi delle acque superficiali. Una situazione inquietante quella fotografata da Legambiente, che vede tra i luoghi critici le province di Modena e Ferrara, nello specifico i bacini della Burana e del Secchia, ma anche il territorio dell’Uso a Rimini, del Po di Volano e del bacino del Reno.
Pesticidi, no
In merito è necessario considerare l’autorevole parere dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente, che in diverse occasioni pubbliche si è espressa sull’argomento, evidenziando come i pesticidi siano, per la maggior parte, sostanze tossiche idonee a penetrare nella catena alimentare in forma di residui. Attenzione puntata sul tema dell’esposizione cronica, ovvero a dosi piccole ma prolungate. Attenendosi ai risultati di una mole imponente di studi scientifici condotti dagli anni ’70 in poi negli Usa e confermati in altri Paesi del mondo è stato comprovato come l’esposizione cronica ai pesticidi possa comportare gravi alterazioni ai sistemi dell’organismo umano quali quello nervoso, endocrino, immunitario, riproduttivo, renale, cardiovascolare e respiratorio. L’esposizione a tali sostanze è pertanto correlata ad un incremento statisticamente significativo del rischio per molteplici patologie quali: neoplasie, diabete mellito, patologie respiratorie, malattie neurodegenerative (Parkinson, Alzheimer, Sla, malattie cardiovascolari, disturbi della sfera riproduttiva, disfunzioni metaboliche ed ormonali). Ed elevato il rischio per i tumori del sangue.
Pesticidi, sì
L’altra sponda del dibattito è invece rappresentata dagli agronomi e dagli agricoltori, utilizzatori, chi più chi meno, di fitofarmaci e antiparassitari e dunque esperti a livello tecnico-professionale. Gli agricoltori “si difendono” affermando che ormai, al giorno d’oggi, anche a seguito della grande attenzione all’argomento suscitata dal dibattito in esame, la produzione agricola è dettagliatamente regolamentata a priori attraverso i Disciplinari di produzione integrata, i quali raccolgono indicazioni utilizzabili da agricoltori e tecnici per ottenere, in modo sostenibile per l’ambiente e per l’uomo, produzioni che offrano ai consumatori maggiori garanzie di qualità. È la cosiddetta “produzione agricola integrata”, ovvero un tipo di produzione agricola che punta a ridurre al minimo il ricorso a quei mezzi che implicano un qualsiasi tipo di impatto ambientale. Per quanto riguarda i prodotti fitosanitari e antiparassitari, ogni agricoltore è obbligato ad aggiornarsi su eventuali nuove molecole, sempre attraverso i disciplinari redatti a livello regionale, mentre la grande varietà e quantità di principi chimici rilevabili è dovuta al fatto che non tutti i principi sono utilizzabili a protezione di tutti i tipi di colture. Quindi, in sostanza, tanti principi chimici per tante colture diverse. Ed il loro utilizzo su ogni singola coltura è effettuata in tempi diversi, con l’obiettivo di avere meno residui possibili, a totale garanzia del consumatore e della sua salute. Le discussioni su questi temi non hanno ancora raggiunto una soluzione definitiva. Ma con tutta probabilità saranno temi di discussione all’evento MacFrut, i prossimi 14, 15 e 16 settembre alla Fiera di Rimini, esposizione internazionale per i professionisti del settore ortofrutticolo e punto di riferimento per gli operatori del settore a livello italiano ed europeo, che nell’edizione passata ha fatto registrare ben 1000 aziende espositrici, provenienti da 30 Paesi.
Simone Santini