“Mi chiamo Simon, e sono un Allenatore di Pokémon”. Questo il modo che, ormai 15 anni fa, all’età di 10 anni, utilizzavo abitualmente quando dovevo presentarmi in occasione di nuovi incontri “giocosi”. Una formula particolare ma che durante gli anni Novanta era quasi una norma, il modo ufficiale che i ragazzi usavano per identificarsi, pronunciandola con orgoglio ed esprimendo un senso di appartenenza pressoché tribale. Allenatori di Pokémon. In breve, per i profani: i Pokémon non sono altro che creature immaginarie, nate come videogioco nel 1996 in Giappone, traendo ispirazione dall’hobby di collezionare insetti, molto diffuso tra i bambini giapponesi di vent’anni fa.
Dotati delle più diverse caratteristiche ed abilità, possono essere catturati, allenati e fatti combattere tra loro dai giocatori, chiamati, appunto, Allenatori. Sbarcato in Italia, il fenomeno fu un successo clamoroso e senza pari fino alla metà del 2000, grazie non solo ai videogiochi, ma anche alla diffusione di gadget, film e cartoni animati. Un fenomeno che però, col tempo e con la crescita anagrafica degli appassionati, è gradualmente appassito. Fino a due settimane fa. Nessuno poteva, infatti, aspettarsi che queste strane creature, finite nel dimenticatoio per un decennio, potessero tornare a invadere le nostre vite così all’improvviso e con così tanta forza.
Identikit del gioco
Il merito (o la colpa?) è da attribuire all’oramai famoso Pokémon Go. Data di nascita: 15 luglio. Pokémon Go è un’applicazione per cellulare che, una volta scaricata gratuitamente, permette di andare letteralmente a caccia di Pokémon ma, al contrario dei videogiochi di vecchia generazione, si gioca nella vita reale, attraverso un sistema di geolocalizzazione e realtà aumentata.
Grazie, infatti, al gps satellitare, i giocatori sono “costretti” a camminare per le vie della città alla ricerca di nuove creature e a catturarle con il telefonino utilizzandone la fotocamera, sancendo di fatto l’ufficiale ritorno degli Allenatori di Pokémon in tutto il mondo.
Un sistema di gioco che in pochi giorni ha spopolato, diventando un vero e proprio fenomeno globale e, per questo, anche molto dibattuto.
C’è chi lo chiama problema sociale…
Sono infatti diversi gli aspetti negativi evidenziati dai suoi detrattori, criticità che si manifestano spesso in comportamenti al limite o addirittura privi di alcun buonsenso. Emblematico il caso del(l’ex) barista neozelandese Tom Currie, licenziatosi dal locale in cui lavorava allo scopo di viaggiare per il Paese alla ricerca dei mostri virtuali; o di Liverpool, dove 20 ragazzi hanno rubato una barca a remi per catturare un Pokémon avvistato al centro di un lago; o di Marcello (20 anni) e Arturo (19 anni), ragazzi di Padova multati perché fermati mentre con una mano guidavano il proprio motorino e con l’altra tenevano il cellulare, il tutto senza patente ed assicurazione.
Guardando al nostro territorio, curioso il caso di una volante dei carabinieri che a Ospedaletto di Coriano ha avvicinato due persone che, in piena notte e con fare sospetto, si aggiravano nei pressi degli uffici delle Poste, salvo scoprire che si trattava di ragazzi in cerca di Pokémon.
È PokéFollia?
Una vera e propria PokéMania. Ma dalla PokéMania alla PokéFollia il passo è, purtroppo, molto breve. Sono infatti numerosi i casi di giocatori che, dotati di poco, se non di alcun buonsenso, hanno posto in essere comportamenti che di ludico non hanno nulla, facendo registrare in poco tempo una vera e propria deriva del fenomeno.
A O’Fallon, negli Stati Uniti, una gang di adolescenti tra i 16 e i 18 anni sfruttava Pokémon Go per attirare giovani vittime in luoghi appartati al fine di rapinarli, con successo; sempre negli Usa, a Gladstone, la 18enne incinta Kaitlyn Shelton è stata investita in pieno da un minivan mentre era concentrata sul suo cellulare per cercare Pokémon da aggiungere alla propria collezione. Solo la prontezza dei soccorsi ed un cesareo d’urgenza hanno permesso di salvare la vita a lei e al suo bambino. In Florida, inoltre, tragedia sfiorata quando un cittadino, allarmato nell’udire rumori ha intravisto due persone all’interno della sua auto e, scambiandoli per ladri, ha sparato due colpi di pistola contro il mezzo. I due aspiranti ladri erano invece due giovani ragazzi in cerca di Pokémon, per fortuna usciti illesi dalla vicenda.
Ma al poco buonsenso dei giocatori si aggiunge il ben più grave poco giudizio da parte di Niantic e Nintendo, sviluppatori dell’applicazione acchiappa-mostri. I Pokémon da catturare sono infatti trovabili ovunque, anche in luoghi dove sarebbe opportuno mantenere decoro e rispetto, come ad esempio l’ex campo di concentramento di Auschwitz, il museo dell’Olocausto di Washington o gli istituti dedicati ai gulag a Mosca. A causa dell’afflusso di giocatori di ogni tipo, gli amministratori di questi luoghi hanno ufficialmente chiesto a Niantic di essere esclusi dal gioco, per questioni di rispetto ed opportunità. Richiesta che, purtroppo, è stata completamente ignorata dagli sviluppatori. Ed è qui che deve scattare qualcosa, è proprio qui che occorre mettere dei paletti. Pokémon Go, in fondo, è solo un gioco. Un gioco obiettivamente mediocre e il clamore suscitato è dovuto in buona parte all’effetto novità e alla moda del momento, e probabilmente scemerà in tempi brevi. Ma nel frattempo è non solo necessario, ma obbligatorio comprendere che la diffusione globale di un gioco non lo rende qualcosa di più, non lo rende meno ludico. Non giustifica il venir meno del limite tra gioco e realtà, con tutto ciò che ne consegue. “Mi chiamo Simon, e sono un Allenatore di Pokémon”. Ma finchè questo non sarà chiaro, voi non farete parte della mia tribù.
Simone Santini