Benedetto XV, eletto Papa poche settimane dopo lo scoppio della guerra con l’enciclica Ad beatissimi (1 novembre 1914) pone subito le premesse per ristabilire un clima di fiducia e di più libera iniziativa tra cattolici; e nel gennaio del 1916, con l’istituzione della Giunta centrale per l’Azione cattolica italiana, dà un assetto unitario alle organizzazioni cattoliche che fino a quel momento avevano proceduto in parallelo. La nomina del “murriano” don Mauri ad assistente della prima Giunta diocesana di Azione cattolica riminese può considerarsi indicativa del cambiamento di clima.
Di fronte alla guerra, i cattolici riminesi sono dapprima neutralisti, secondo le indicazioni del papa. Anche «L’Ausa», sotto la direzione di Silvio Celata, succeduto a don Mauri, fa della neutralità la sua linea editoriale. Ma dall’aprile del 1915, con il direttore don Giulio Broccoli cambia rotta e, dopo l’entrata in guerra dell’ Italia, augura “al valoroso esercito… una piena e sollecita vittoria”. Lo stesso don Broccoli parte per il fronte e per un anno il giornale sospende le pubblicazioni. Le riprenderà solamente il 15 settembre 1917 e, dopo Caporetto, lancerà anatemi contro la propaganda disfattista dei “rossi”. La partecipazione dei cattolici alla guerra, infatti, viene sentita come un passaggio decisivo perché essi possano essere considerati cittadini a pieno titolo.
Ormai i tempi della lontananza dei cattolici dalla politica stabilita da Pio IX con il non expedit erano tramontati: già nel 1913, come conseguenza del “patto Gentiloni” i cattolici erano diventati, in qualche misura, protagonisti del confronto politico; alle elezioni del 1916 era entrato a far parte del governo Bonomi Filippo Meda, il primo cattolico con responsabilità ministeriali dopo l’Unità d’Italia; nel gennaio 1916 c’era stata la riorganizzazione dell’Azione cattolica; infine la guerra aveva costretto i cattolici italiani ad assumere posizioni politiche precise…
Mentre a Parigi stava iniziando i suoi lavori la Conferenza della pace che avrebbe dovuto ridisegnare la carta geopolitica dell’Europa e allontanare il pericolo di nuovi conflitti, il 18 gennaio 1919 il celebre appello di Luigi Sturzo, già segretario della Giunta centrale di Azione cattolica si rivolge “a tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della patria, senza pregiudizi né preconcetti… perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà”; insieme all’appello vengono pubblicate le linee programmatiche del nascente Partito popolare italiano, che intende “raggiungere una graduale trasformazione sociale basata sull’ordine e l’armoni” e, senza rinnegare l’ispirazione cristiana, si dichiara aconfessionale. Il nuovo partito viene considerato dai cattolici impegnati un segno di rottura con gli schemi angusti entro i quali era stata costretta la loro azione sociale e politica e un atto di fiducia verso lo stato democratico, che pure si intendeva rinnovare profondamente. Subito, il 25 gennaio, don Adello Tamburlani dalle pagine de «L’Ausa» esprime l’adesione dei cattolici riminesi all’appello di Sturzo, l’8 marzo 1919 nasce il Partito popolare di Rimini e «L’Ausa» sotto la direzione di don Luigi Del Monte ne diventa l’organo ufficiale.
Alle elezioni politiche del 1919, le prime del dopo guerra, il nuovo partito ottiene a Rimini il 20% dei voti e l’anno successivo, alle elezioni comunali, riesce a far eleggere otto membri nel Consiglio comunale guidato dal socialista Arturo Clari. Di fronte alle difficoltà del momento i popolari scelgono la via di una opposizione qualificata dall’attenzione ai problemi strutturali e alle famiglie impoverite dalla guerra e da una diffusa disoccupazione.
Cinzia Montevecchi
(8 – continua)