L’accoglienza o è bidirezionale o non è vera, è un incontro del verbo essere, non del verbo avere, è un esserci insieme”. Tanto insegna l’esperienza di accoglienza che è stata presentata lo scorso martedì sera nel chiostro di San Giovanni Battista. Ospiti della serata, dei ragazzi migranti giunti in Italia da poco. Osas, Omon e Isaac (nigeriani), Atta ed Edward (del Ghana) ancora l’italiano non lo hanno imparato del tutto, ma sono la testimonianza di come i cuori si sappiano aprire spontaneamente, senza bisogno di perfette comunicazioni linguistiche.
La zona pastorale delle parrocchie della Colonnella, Cristo Re, Regina Pacis e della stessa San Giovanni Battista si è subito mobilitata per far sentire a casa chi ha dovuto abbandonare la propria terra di origine. Don Lauro, Don Salvatore e i vari consigli parrocchiali hanno deciso di seguire l’invito mosso da papa Francesco alle Chiese. Accogliere i profughi, i migranti: era questo il dolce imperativo ed è questo ciò che col sorriso ci si è proposti di fare. Infatti, qualcuno aveva notato alcuni ragazzi africani che frequentavano ogni domenica la messa a San Giovanni e, sotto la guida di un’èquipe di volontari nata appositamente, la comunità ha cominciato a mobilitarsi per farsi loro prossima Dopo aver trovato un appartamento per loro, proprio nel borgo San Giovanni (nella foto, alcuni di questi profughi con alcuni parrocchiani intervistati da Simona Mulazzani per Tv2000) ha avuto inizio un arredo comunitario tramite una raccolta tra i fedeli.
Don Lauro conferma il clima di festa con il quale è partito il progetto. “È stata una sorpresa; si respirava un grande entusiasmo, uno slancio incredibile. Ho visto raccogliersi tante e diverse persone attorno ad un’iniziativa del genere, tutte pronte all’accoglienza”.
Così oggi i quattro ragazzi lavorano tutti, c’è chi pulisce il pesce, chi fa il bagnino sulla spiaggia, chi monta condizionatori, l’importante è aver superato anche quella barriera che a volte sembra insormontabile, quale la ricerca di un’occupazione. Un esempio bello sul quale riflettere, perché tante braccia hanno saputo aprirsi gratuitamente. Come quelle degli insegnanti di italiano che seguono ogni settimana i giovani. Sette insegnanti offrono, infatti, tempo e competenza perché si possa compiere quel primo passo fondamentale in un percorso di integrazione che è appena cominciato, ma che dà già i suoi frutti.
Le parole di Micol, datore di lavoro di uno dei ragazzi, fanno calare il silenzio. “Piano piano questi incontri di sensibilizzazione dovrebbero avvenire sempre di meno. Tutto dovrebbe essere più naturale. Non ci sono differenze tra loro e noi, questa dovrebbe essere un’evidenza sotto gli occhi di tutti”. Micol che possiede uno stabile in spiaggia, afferma di non essersi fatto problemi ad accogliere Omon come bagnino. “Quel ragazzo ha un senso dell’umorismo che mi batte di gran lunga! Una volta l’ho visto giocare a beach tennis, ho aspettato che finisse e poi gli ho detto che c’era un ragazzo uguale a lui che si divertiva sul campo con altri giovani. Omon mi ha risposto che lo aveva visto anche lui e che gli voleva proprio chiedere se fossero fratelli”. La gioia negli occhi di Micol nel riferire che “Omon, professionalmente parlando, è bravissimo, ma umanamente lo è ancora di più”, è quella di tutti i riminesi che hanno saputo tendere una mano e che poi si sono accorti anche di ricevere tanto. Una delle insegnanti di italiano sottolinea quanto sia preziosa la reciprocità che deriva dall’accogliere e quanto il conoscere aiuti a vincere i pregiudizi e le paure. Anche il gruppo scout Rimini 4 lungo il “Capitolo”, una delle fasi del loro percorso di educazione, ha visitato la casa nella quale i giovani vivono, incontrando volti e storie nuove.
Sebbene non viva con Atta e con gli altri, anche Isaac è stato accolto dalla comunità della zona pastorale Flaminia. Dalle parole di Isac trapela una storia fatta di viaggi e difficoltà, di un soggiorno a Fermo che è durato meno del previsto perché qualcuno considerava quei giovani immigrati disdicevoli per il turismo. Ora Isac afferma di essere contento: lavora nell’ambito agricolo e ha un sorriso sul volto, di una semplicità che sconvolge.
La parrocchia del Crocifisso, invece, si sta prendendo cura di una famiglia arrivata in Italia a marzo. Tra le braccia della madre, la figlia più piccola nata da soli sei mesi si agita. I genitori raccontano delle difficoltà legate alla sanità durante il primo mese, delle visite alle quali i volontari della parrocchia di Sant’Andrea dell’Ausa li hanno accompagnati, della bella accoglienza ricevuta. La figlia di quattro anni fa sorridere tutti i partecipanti con quella dolcezza propria solo dei bambini. Il padre della famiglia sta ancora cercando lavoro, intanto impara la lingua. Le difficoltà non mancano, ma l’entusiasmo e la voglia di mettersi a disposizione l’uno dell’altro possono fare tanto. “Esserci insieme”, riminesi e non, è questo il dono che bisogna portarsi nel cuore.
Marta Antonini