È un confronto iniziato con molta franchezza e libertà, quello che vede protagonisti i sacerdoti riminesi riuniti insieme al Vescovo nella Tre Giorni dedicata quest’anno al tema delle Zone Pastorali. Una vera rivoluzione attende la pastorale dei prossimi anni. Si tratta di lasciare certezze secolari ed inoltrarsi in una dimensione nuova, dove nulla pare facile, né scontato. Non più un prete per ogni parrocchia, ma comunità di presbiteri al servizio di territori più ampi. Sono dunque più che comprensibili e umane le resistenze di molti fedeli, difficoltà di cui i sacerdoti sono coscienti e si sono fatti portavoce, ma non è davvero facile neppure per i presbiteri, obbligati ad un enorme cambiamento di mentalità. Forse una difficoltà simile è stata vissuta negli anni immediatamente successivi al Concilio. Ora però questo tipo di scelta è irrinunciabile e sempre più urgente, forse troppo urgente e vissuta quasi al buio, costretti dalla crisi delle vocazioni e da un secolarismo sempre più aggressivo. Certo la figura del prete come factotum della pastorale è da tempo, in realtà dal Vaticano II, diventata vecchia e inadeguata. Il termine di riferimento è, sulla carta, quello della sinodalità, parola magica purtroppo ancora poco praticata. Ma la fatica del prete è accompagnata da quella di un laicato ancora molto lontano dal superare la logica del campanilismo, e ancora distante da una prospettiva missionaria, come quella che indica con forza papa Francesco.
D’altra parte la paura è che le comunità diventino sempre più anonime. Venendo meno il punto di riferimento sul territorio (grande ricchezza ancora oggi della Chiesa italiana), il rischio è che si perda quello spirito di unità e di famiglia che la presenza del sacerdote ha comunque garantito, a prescindere dalle sue qualità personali. Non c’è oggi ancora sul territorio chi possa prendere quel ruolo, come accade invece nelle comunità missionarie, dove i “catechisti” sono i riferimenti, anche fisici, della presenza della Chiesa. Siano diaconi, suore, catechisti e leader di comunità, sono la premessa necessaria per ogni cambiamento, pena il ritrovare, fra poco, intorno alle parrocchie, solo terra bruciata. È anche per queste difficoltà che più volte, già nei primi incontri della Tre Giorni, è uscito il termine di “laboratorio pastorale”. Occorre sperimentare nuove vie; costruire, nella preghiera, nello studio, nella pratica della carità e del servizio, strade nuove. Tutti sono convinti che è lo Spirito che suscita questo nuovo cammino, ma è anche giusto temere, se non saremo così attenti a quel che Lui ci indica, che il prete pastore diventi un impiegato a (poche) ore, con molti uffici.
Giovanni Tonelli