Binge Drinking. Questo il termine utilizzato per indicare l’allarmante fenomeno della “abbuffata alcolica”, la pratica di consumare una grande, eccessiva quantità di bevande alcoliche in un ristrettissimo lasso di tempo, per raggiungere immediatamente ubriacatura e perdita di controllo. Un problema che colpisce soprattutto i giovani, che pongono la ricerca dello “sballo” davanti alla propria salute. Caso emblematico una ragazzina 15enne di Rimini, che nella notte tra il 13 e il 14 giugno scorso, durante una festa sulla spiaggia, si è accasciata improvvisamente a terra in stato di incoscienza. Voleva una serata da ricordare per festeggiare la fine della scuola, la ricorderà per aver passato la notte all’ospedale Infermi in stato di coma etilico. Ma qualsiasi nome gli si dia, l’abuso di alcol non è solo un fenomeno giovanile, ma un problema trasversale che colpisce tutte le età. Secondo una stima dei centri di Pronto Soccorso riminesi dell’Ausl dell’Emilia Romagna, infatti, mediamente ogni anno sono circa un migliaio le persone sulle quali si interviene in tutta la provincia per diagnosi specifica di intossicazione da alcol e di questi circa il 10% sono minorenni. Dalle stime emerge inoltre che il problema colpisce soprattutto gli uomini, che rappresentano i due terzi degli accessi annuali, contro un restante terzo di sesso femminile.
Anche le amministrazioni provano a metterci una pezza. Per esempio il Comune di Rimini ha bandito il consumo di alcolici freschi per tutta l’estate attraverso un’ordinanza sindacale emessa lo scorso 1 giugno, che rimarrà in vigore fino al 15 settembre, coprendo praticamente tutta la stagione turistica. Nonostante il testo della decisione del Comune sia ovviamente più complesso, la sostanza rimane la stessa. “Si fa divieto – recita infatti il provvedimento redatto dalla polizia municipale – a tutti gli esercizi di vicinato del settore alimentare e misto, ubicati nelle zone di maggior presenza turistica, di conservare allo scopo di vendita bevande alcoliche di qualsiasi gradazione in qualunque sistema e apparecchio di refrigerazione e raffrescamento presso i locali e le aree esterne delle attività”. Tradotto dal giuridichese, significa che durante la stagione turistica sarà virtualmente impossibile, per i minimarket ed altri venditori della città di Rimini, che non siano bar o ristoranti, vendere bevande alcoliche fresche. Pena: multe che oscillano tra i 300 e i 500 euro, con la possibilità di saldare attraverso un fisso di 400 euro entro 60 giorni. Provvedimenti per nulla irrilevanti per commercianti e gestori. Ma come si è arrivati a questa decisione? Tutto è nato con la liberalizzazione delle licenze commerciali, che ha portato alla nascita e alla capillare diffusione di numerosissimi negozi di “piccola taglia”, impegnati nella vendita di alcolici e superalcolici ad ogni ora e a prezzi assai più economici rispetto a quelli degli altri locali dell’intrattenimento riminese. Conseguenza di questo fenomeno è stato l’aumento dei disordini legati all’abuso di alcolici nelle zone turistiche della città, disordini considerati come un vero e proprio “allarme sociale” che ha spinto l’Amministrazione di Rimini ad agire di conseguenza per “assicurare una serena e civile convivenza fra i cittadini – come si legge nell’ordinanza – e tutelare la tranquillità sociale e la qualità della vita”. I più colpiti da quella che è stata soprannominata “Ordinanza birra calda” sono ovviamente i gestori degli esercizi commerciali inibiti dal provvedimento, un gruppo dei quali ha di recente presentato ricorso d’urgenza al Tar dell’Emilia Romagna nel tentativo di bloccarne l’esecuzione, ricorso però respinto dai giudici amministrativi. Ma Rimini non è l’unico Comune che ha optato per questa misura di “proibizionismo soft”. Circa una settimana prima rispetto al caso della città felliniana, ad esempio, il Comune di Bologna ha emesso un’ordinanza sostanzialmente identica, vietando la vendita di bevande alcoliche refrigerate in tutto il centro storico e nella zona della Bolognina. La stessa cosa è avvenuta nei confronti del centro storico delle città di Lucca e Parma, mentre Genova ha scelto un metodo più rigido, intervenendo anche sui decibel, imponendo ai locali di spegnere la musica all’una o alle due di notte.
Si assiste dunque ad un cambio di direzione. Negli ultimi anni troppo spesso le città turistiche italiane si sono trovate completamente sotto scacco da parte di gruppi di turisti che, cercando e trovando lo “sballo” nell’alcol, hanno fatto registrare episodi di schiamazzi, atti di puro vandalismo, quando non addirittura violenze fisiche e sessuali. Episodi che hanno portato, in tutto il territorio nazionale, alla proliferazione di comitati di cittadini “anti-movida”, arrivando ad un numero talmente elevato da dare vita ad un coordinamento nazionale che rappresenti la loro voce nei confronti delle Istituzioni. “La liberalizzazione delle licenze commerciali ha mandato la situazione completamente fuori controllo. – dichiara Simonetta Chierici, responsabile del Coordinamento Nazionale No Degrado e Mala Movida, associazione impegnata in attività di solidarietà finalizzate ad affrontare realtà di degrado sociale – Il boom dei locali autorizzati alla vendita di alcolici e superalcolici ha creato un danno non solo alla salute di chi ne acquista e consuma i prodotti, ma anche a quella di chi abita nelle zone turistiche nelle quali si svolge la movida. E il grande paradosso è che molto spesso queste situazioni di degrado si creano e si concentrano nei centri storici delle città, che dovrebbero invece rappresentarne i luoghi di maggior pregio artistico e culturale”.
Simone Santini