“Guardando al Cuore di Gesù rinnovo il primo amore: la memoria di quando il Signore mi ha toccato nell’animo e mi ha chiamato a seguirlo”. Queste parole del Papa descrivono un gesto in cui lui stesso ci ha trascinato nel riconoscimento di ciò che è “essenziale” nella nostra vita di preti, cioè di uomini: fissare lo sguardo sulla Persona che ci ha attratti fino a riempire tutta la vita. Con don Paolo Lelli ed altri sacerdoti della nostra regione, con i quali avevamo condiviso gli anni di formazione nel Seminario regionale, abbiamo vissuto insieme il Giubileo dei sacerdoti, concelebrando in Piazza San Pietro con Papa Francesco, a venticinque anni dall’ordinazione.
A Roma abbiamo incontrato altri sacerdoti del nostro presbiterio: don Simone Franchin, don Andrea Scognamiglio e don Stefano Battarra , che hanno vissuto il gesto con i loro genitori, oltre a don Andrea Ripa, attualmente a servizio della Santa Sede.
Che cosa domina nella nostra vita dopo 25 anni di sacerdozio? Lo stupore per la fedeltà di Cristo alla sua chiamata: Egli non si arrende mai di fronte al nostro limite e al nostro peccato, che tante volte ci fa ripiegare sul possesso di un falso “tesoro”. Anzi, è proprio il nostro peccato – ha sottolineato più volte il Papa nelle sue catechesi a noi preti – il “ricettacolo della misericordia”. “Quasi tutti i grandi santi sono stati grandi peccatori” e cura bene il male chi “mantiene viva l’esperienza di essere stato oggetto di misericordia circa il medesimo male”.
Come è accaduto per Pietro e Paolo, Cristo ci afferra proprio là dove c’è una ferita. “Pietro – ha affermato il Papa – è stato sanato nella ferita più profonda che si può avere: quella di rinnegare l’amico. Tuttavia, essere risanato proprio in quello, trasformò Pietro in un Pastore misericordioso, in una pietra solida sopra la quale si può sempre edificare, perché è pietra debole che è stata sanata”. Paolo invece riceve la misericordia “nella sua durezza di giudizio che lo spingeva ad essere un persecutore. La misericordia lo trasforma in modo tale che diventa un cercatore dei più lontani. La famosa ‘spina’ che il Signore non gli toglie è il ricettacolo in cui Paolo riceve la misericordia di Dio (cfr. 2 Cor 12,7)”.
Quando io sono stato ordinato sacerdote, avevo la presunzione di poter dare la vita per Cristo. Ora, dopo l’esperienza del mio limite e del mio peccato, sono un po’ più consapevole di non esserne capace. Ma, proprio dentro questa consapevolezza, inizio a sperimentare la pienezza della vocazione sacerdotale, una paternità ed una verginità possibili non per la mia capacità di dare tutto, ma per l’iniziativa con cui Cristo prende tutta la mia vita, continuando ad esercitare un’attrattiva, ridestando tutta la mia affezione e usando la mia fragilità per afferrare chi si lascia toccare da Lui. Tutto si realizza nel riconoscere Gesù che accade e mi afferra nella carne di coloro che mi sono dati. Per questo, come spesso ci ricorda lo stesso Papa Francesco, “un padre non concepisce se stesso senza i suoi figli, e un pastore non si concepisce senza un gregge, che è chiamato a servire”.
don Roberto Battaglia