Circa 12 milioni di italiani, secondo l’AIMS (Associazione Italiana per la Medicina del Sonno) soffrono di insonnia o di disturbi correlati. Non è tutto: per gli italiani questi sintomi sono tutt’altro che passeggeri: il 67% degli insonni ne soffre da più di un anno e l’80% ne avverte le ripercussioni durante il giorno con manifestazioni che vanno da tensione nervosa, a irritabilità e segni di depressione, fino a difficoltà di concentrazione o di memoria.
Ma quando l’insonnia – sia essa una difficoltà ad addormentarsi o una frammentazione della qualità del sonno – può essere considerata una vera e propria patologia? Lo chiediamo al dottor Enrico Maria Lotti, neurologo ed esperto in Disturbi del Sonno.
“Ci sono forme di insonnia più passeggere, che non vanno ad inficiare sulle funzioni vitali del paziente che, tutto sommato, nella giornata resta operativo, e altre forme che presentano altre problematiche che non si esprimono solo nell’ovvio sintomo della sonnolenza diurna: ridotte capacità lavorative, un aumento del rischio di incidenti stradali, una maggiore tendenza all’ipertensione, cefalea cronica. In questo caso è opportuno che il paziente si rivolga se non subito, necessariamente, ad un centro specializzato quanto meno al proprio medico di base. Ancora oggi pochi lo fanno, nonostante la maggior parte di tali disturbi siano prevenibili o curabili. Dall’altra parte, l’insonnia rappresenta una delle malattie in cui è più frequente l’abuso farmacologico”.
La sonnolenza diurna quanto può essere pericolosa?
“È la principale conseguenza di molti disturbi del sonno ma è anche il sintomo principale di malattie che si manifestano solo con la difficoltà di restare svegli in qualunque situazione della vita quotidiana, come la narcolessia. È doveroso ricordare che la sonnolenza, qualunque ne sia la causa, rappresenta una controindicazione per l’idoneità fisica alla guida e come tale può essere perseguita legalmente. Questo avvertimento è rivolto soprattutto a tutte quelle persone che svolgono come lavoro quello di conducente e che sono più esposte ai rischi di incidente”.
Quali possono essere le cause di questi disturbi?
“Talora l’insonnia si presenta come un
disturbo isolato e precoce nella vita del paziente ma più spesso è la conseguenza di disturbi della sfera dell’umore, di cattive abitudini acquisite dopo un evento disturbatore iniziale del sonno o di una privazione che ci autoimponiamo”.
Quali rischi può avere l’automedicazione?
“Soprattutto nelle persone più anziane c’è spesso la tendenza ad avvicinarci ai sonniferi perché già li usa il coniuge. Ma bisogna fare attenzione: sono farmaci che possono creare dipendenza e avere effetti secondari importanti. Un sonnifero, in una persona anziana, può ridurre le capacità di attenzione, con il rischio anche di cadute. Dunque è sempre bene parlare con il proprio medico e se a tre mesi dall’inizio della terapia il disturbo non migliora, allora è bene rivolgersi ad un neurologo”.
Qual è l’approccio che uno specialista in questo ramo adotta nei confronti del paziente con insonnia cronica?
“È fondamentale un approccio multidisciplinare che coniughi il necessario apporto farmacologico alle tecniche di rilassamento e di analisi che aiutano a mantenere il beneficio acquisito nel tempo. Ci tengo a sottolineare che la maggior parte delle malattie del sonno (oltre all’insonnia anche il russamento e le apnee notturne, la sonnolenza e altre forme come il sonnambulismo) possono essere prevenute o adeguatamente curate in Centri specifici e multidisciplinari. Una buona salute parte anche dall’attenzione per quella parte della nostra giornata in cui spendiamo un terzo del nostro tempo e che rappresenta la ricarica e la sincronizzazione delle principali funzioni biologiche del nostro organismo”.
Alessandra Leardini