Maria Lucia De Nicolò – È certamente la più grande esperta del mare Adriatico, visto nel suo aspetto globale: scienza del mare, tradizioni marinare, folclore, religiosità dei portolotti, amori, cultura popolare. Direttrice, dal 2006, del Museo del Mare W. Patrignani di Pesaro, cattolichina, Maria Lucia De Nicolò assomma esperienza e competenza a una grande passione. Dalla metà degli anni Settanta, si è dedicata a 360 gradi allo studio del mare Adriatico, con una particolare attenzione su alcune comunità costiere adriatiche fra Marche e Romagna
Professoressa De Nicolò, come è nata in lei questa profonda passione per il mare, e per il medio Adriarico?
“Il mio interesse è stato stimolato dalla totale mancanza di riferimenti bibliografici su temi sui quali poi ho concentrato maggiormente le mie ricerche. Mi riferisco principalmente alla storia dei litorali, delle comunità costiere, del mondo dei pescatori e delle attività alieutiche dal tardo medioevo al Novecento”.
Il 1996 è stato per lei l’anno della consacrazione professionale e scientifica, di tanti studi, ricerche e sacrifici con l’ingresso nell’organico del corpo docenti dell’Università di Bologna, per l’insegnamento della Storia del Rinascimento, e della Storia del Mediterraneo in età moderna (laurea triennale e laurea magistrale). Cosa è cambiato per la giovane studiosa da quel momento in poi?
“Pur proseguendo ad approfondire i miei studi sul versante occidentale del medio Adriatico, ho allargato il campo d’indagine ad altri spazi mediterranei, mettendo a frutto un’inedita metodologia di ricerca che è diventata proficua anche per altri studiosi che si sono applicati su quanto già tracciato. L’insegnamento poi mi ha dato la possibilità di trasmettere le mie conoscenze con la soddisfazione anche di vedere, alcuni miei ex allievi ben inseriti incarichi lavorativi nell’ambito della valorizzazione storica dei territori e dei beni culturali”.
È impegnata in tante attività e in numerosi progetti di ricerca. Quali sono quelli che ha più a cuore e che ritiene possano avere un’importanza scientifica anche per l’uomo contemporaneo?
“Ho in cantiere un impegnativo volume riguardante le comunità costiere dello Stato pontificio, ma fra i progetti che mi stanno a cuore si inserisce anche il decollo dell’Ecomuseo del litorale pesarese, che potrebbe prestarsi come ottimo volano per un turismo culturale di approfondimento per la conoscenza del patrimonio paesaggistico, storico, artistico del territorio”.
Il ritrovamento recente del subacqueo Giorgio Verzolini dell’antico porto di Pisaurum, è una scoperta importante?
“Certamente. E questa attenzione sull’età antica che si sta vivendo, ben si incastra con le linee di indagine e di conoscenza promosse dai quaderni del Museo della Marineria «Washington Patrignani” di Pesaro. Il quaderno n. 20 – affidato ad un giovane archeologo, dottorando presso la King University di Londra – torna sull’argomento «porti adriatici», riferito all’età romana imperiale”.
Il suo ultimo libro, Marineria risorta – Una comunità di pescatori tra Romagna e Marche , prosegue un lungo viaggio, che ha avuto lungo il suo percorso, personaggi come Lorenzo Braccesi, M.R.Valazzi, Ettore Franca. È un nuovo tassello al grande mosaico che da anni sta realizzando sul Mediterraneo.
“Si tratta di un libro un po’ diverso dai precedenti, che, pur analizzando una comunità a campione, tocca più in generale la società dei pescatori adriatici in uno spazio temporale fra Otto e Novecento, attraverso una fonte, quella giudiziaria (atti civili e criminali) e restituisce uno spaccato della quotidianità del lavoro e della vita a terra che permette di riscoprire usi, costumi, tradizioni e, non ultimo un patrimonio lessicale per viene analizzato su alcuni modi di dire, oggi scomparsi, che tradiscono relazioni culturali antiche fra la gente di mare che tradiscono l’appartenenza ad un’unica enclave”.
Prof.ssa De Nicolò, nel libro Le tane del vino cantine, “volte profonde” grotte secoli XIII -XIX, fa una ricerca approfondita sull’origine delle grotte di Cattolica, chiamate anche cantine e della più grande chiamata cantinone. Ci può spiegare la sua ricerca?
“Dal 1988 in avanti con l’uscita di scritti in merito a queste architetture sotterranee e grotte tufacee per la conservazione del vino e a seguito di un convegno svoltosi a Sant’Arcangelo di Romagna, l’interesse è cresciuto e con esso l’esigenza di conoscere meglio queste strutture, la loro origine e le destinazioni d’uso. Senza entrare nel merito delle varie ipotesi interpretative proposte nei testi fino ad oggi editi, peraltro assai problematiche e complicate per le località che evidenziano percorsi nel sottosuolo semplicemente scavati dal tufo senza rivestimenti in pietra o laterizio, grazie all’apporto archivistico, si è trovato un nesso assai significativo fra grotte tufacee e conservazione vinicola. La documentazione raccolta ha evidenziato come nel sottosuolo della cittadina romagnola vi erano numerose celle vinarie definite a nicchia come si possono ancor oggi identificare nel sistema ipogeo e visitare”.
Paolo Montanari