In principio fu l’Ultimate. Un prato, due squadre, un frisbee. Niente arbitro, niente polemiche. Solo cercare di prendere il “disco volante” oltre la linea di meta. Siamo alla fine degli anni Ottanta. In Italia non ci sono molti team. Uno di questi, però, è a Rimini. Il Cotarica. Nato dalla passione di Clay Collerà e Bibo Rosa (campioni europei di freestyle nel 1986), è formato da un manipolo di ragazzi che girano un po’ per l’Europa. In un pomeriggio estivo del 1990 il gioco subisce una trasformazione improvvisa. Mentre si allenano al mare a qualcuno si accende la classica lampadina: perché non trasportiamo l’Ultimate sulla spiaggia? Una bella birretta, il fresco della sera, un foglio bianco e una penna. Il gioco è fatto. Poche regole, tanto entusiamo e come premio un semplice Ombrellone. Il Paganello iniziava la sua storia. Che agli arbori degli anni Duemila ha vissuto il suo massimo splendore. Squadre da tutto il mondo, servizi e articoli sui maggiori mass media italiani ed esteri e soprattutto tante prenotazioni in un periodo come quello pasquale da sempre di transito. Un successo inimmaginabile che porta Regione, Provincia e Comune a scegliere il “pesciolino” come cartolina per la nuova stagione estiva. Sono anni d’oro, dove intere famiglie scendono in spiaggia per vivere quattro giorni di sport, in allegria, all’aria aperta vedendo tanta gioventù con il sorriso. Poi, però, arriva la crisi. Le sovvenzioni diventano sempre più risicate e quella che una volta era la cartolina per antonomasia inizia a ingiallirsi sempre di più. Mentre, al contrario, in altre realtà nascono addirittura strutture fisse. Come a Lignano Sabbiadoro dove la Beach Arena, ogni estate, ospita i Campionati nazionali austriaci. O come Viareggio che piano piano sta “rubando” (o forse lo ha già fatto) gioco, squadre e turismo. Uno scippo passato tra l’indifferenza generale. Del resto basta vedere il programma della 26ª edizione del Paganello (dal 24 al 28 marzo al Marina Lido, davanti al “Savoia”) per capire come i tempi d’oro siano lontanissimi: poche squadre, almeno tra gli Open; quattro categorie che probabilmente passeranno a due; l’addio allo streaming che collegava migliaia di persone in tutto il mondo, un tendone molto più piccolo e una Beach Arena che ancora non si sa se ci sarà o meno.
“Purtroppo questa è la situazione – conferma Giuseppe Carpi, uno di quelli che c’è da 26 anni – . Del resto quei ragazzi del 1990 sono diventati tutti professionisti, padri di famiglia con pochissimo tempo da dedicare all’organizzazione di questo evento. Anzi, c’è solo da dire grazie a chi ancora ha voglia di impegnarsi. E poi, diciamolo senza tanti giri di parole, il venir meno dei contributi è stato un peso che in parte ci ha schiacciato visto che il Paganello non ha risorse dirette – non c’è nessun biglietto per assistere alle gare – anche se va detto grazie all’Amministrazione perché ancora ci sostiene così come la Camera di Commercio e l’Apt. Nonostante tutto, ci saremo anche quest’anno, un po’ più ingialliti, forse, ma con la gioia di vedere che almeno i ragazzi aumentano perché il movimento è in espansione. Attualmente abbiamo circa 170 ragazzi, solo a Rimini. Il rammarico più grande, forse, è proprio questo”.
Francesco Barone