Comuni: diminuiscono i trasferimenti alle amministrazioni locali da parte del Governo centrale ma aumentano le tasse di competenza comunale. Rimini, dal 2010, ha perso 22,3 milioni di entrate (-60%) ma per ogni suo abitante, in media, ha aumentato le tasse di 487 euro, più della media regionale che è di 346. Con quali effetti sulla spesa?
L’ideale sarebbe, recuperando l’evasione come ha affermato nel suo messaggio di fine anno il Presidente della Repubblica, che le tasse diminuiscano al centro e in periferia. Alla meno peggio, che i tagli del decisi dal Governo non si trasformassero in aumenti nei Comuni, i quali sono chiamati a gestire molti servizi per i cittadini (asili, scuole, servizi sociali, ecc.).
Purtroppo quello che sta avvenendo non è né l’uno, né l’altro. In Italia la pressione fiscale ufficiale, quinta in Europa, è al 43,8 per cento del Pil (nel 2008, quando è scoppiata la crisi, era al 41,3%, ma nel 2001 si fermava al 40,1%) ma quella effettiva supera abbondantemente il 50 per cento (la differenza è data dal fatto che quella ufficiale considera, nel calcolo, anche l’economia in nero, che però non paga le tasse!).
Eppure, a giudicare dai tagli operati dai vari Governi nei trasferimenti ai Comuni, la situazione dovrebbe andare diversamente. Perché dal 2010 a fine 2015, tra Decreto Salva Italia, Leggi di stabilità, revisioni della spesa e altre misure, solo ai Comuni capoluogo dell’Emilia Romagna sono stati tagliati ben 277, 8 milioni di euro, che in termini percentuali, rispetto al 2010, rappresentano decurtazioni che oscillano tra il 38 per cento di Ferrara e il 70 per cento di Modena.
Il Comune di Rimini è in una posizione intermedia: in cinque anni ha perso 22,3 milioni di entrate provenienti dal Governo centrale, che rappresentano un taglio del 60 per cento, pari a155 euro in meno per residente.
Forse nei propositi dei Governi c’è l’intenzione di costringere i Comuni ad eliminare inefficienze e spese inutili, recuperando su questo versante le minori entrate da trasferimenti statali. Qualcosa sicuramente sarà stato fatto, ma, complice anche l’accresciuta domanda di nuovi servizi che la crisi ha fatto aumentare (sussidi per la casa, le bollette, contrasto alle varie povertà, ecc.), è un dato di fatto che la pressione tributaria (tasi, Imu, addizionale irpef, ecc.) di competenza comunale ha recuperato abbondantemente i tagli decisi dai Governi.
Come media regionale la pressione tributaria per abitante nei Comuni capoluogo è salita, dal 2010 al 2014, di 346 euro, che diventano però 487 euro a Rimini, 436 euro a Forlì e 429 euro a Ravenna, per restare in Romagna.
DOVE SONO FINITI I SOLDI DELLE TASSE?
I comuni, quindi, si sono ripresi con gli interessi quello che i Governi gli hanno negato. Hanno aumentato la pressione tributaria per fare investimenti, cioè per costruire futuro, nel qual caso si potrebbe anche giustificare? Non proprio, almeno non tutti.
Dal 2007 al 2014 la spesa per investimenti di tutti i comuni della provincia di Rimini si è drasticamente ridotta, scendendo da 657 a 221 euro pro capite (la media regionale è di 145 euro), mentre è aumentata, da 953 a 1.006 euro pro capite quella corrente, che comprende il costo del personale, la gestione dei servizi e altre spese di funzionamento.
Si è comportato un po’ diversamente, nello stesso quinquennio, il Capoluogo (Rimini), perché pur confermando l’aumento della spesa corrente per residente da 856 a 1.030 euro, ha quanto meno aumentato quella per gli investimenti da 213 a 294 euro, dimostrando una maggiore, anche se piccola, attenzione al rilancio dello sviluppo locale. Una voce che dovrebbe tendere a recuperare gli impegni del passato, investendo soprattutto sul lavoro e l’intraprendenza dei giovani. La principale risorsa, anche da un punto di vita demografico, del futuro.