Spotlight è il nome del team giornalistico investigativo del quotidiano The Boston Globe, la squadra che mise in luce i casi di abusi sui minori perpetrati da sacerdoti dell’Arcidiocesi di Boston. Una ferita lacerante per la Chiesa mondiale che – proprio grazie all’inchiesta – ha potuto iniziare una doverosa opera di pulizia interna, con Papa Francesco in prima linea nell’arginare il problema.
Il film di Tom Mc Carthy, già autore sensibile di film come The Station Agent e L’ospite inatteso, rievoca la creazione dell’inchiesta, con un film preciso, senza vocazione allo scandalo (Radio Vaticana lo ha definito “utile e necessario”), mettendo al centro il giornalismo “puro”, realizzato con cognizione di causa (i giornalisti sanno di toccare tasti delicatissimi, coinvolgendo non solo la comunità ecclesiastica, ma l’intera comunità cittadina), quello che ormai sembra non esistere più, vanificato ogni giorno dalla pubblicazione di notizie senza verifica delle fonti.
Invece Il caso Spotlight, fresco vincitore di due Oscar (miglior film e miglior sceneggiatura originale) riporta all’attenzione, come nei grandi film del passato sul giornalismo (vedi Tutti gli uomini del Presidente), la necessità di mettere in luce problematiche scottanti, procedendo con la necessaria cautela. Le testimonianze delle vittime fanno correre brividi lungo la schiena, sapendo che i responsabili sono “uomini di Dio” smarriti, ma fu proprio l’inchiesta del quotidiano a fornire alla Chiesa cattolica gli elementi per intervenire con fermezza. Cast di pregio (i reporter sono Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams e Brian D’Arcy James) in una narrazione “classica” ed efficace per un film che non cala fendenti a tradimento ma si sviluppa con correttezza.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani