Tre buoni motivi per vincere l’indifferenza oggi così diffusa. Il primo motivo possiamo chiamarlo il paradosso dell’impotenza.
Mai come nella nostra epoca le più grandi minacce per la specie umana (guerra nucleare, catastrofi climatiche, guerra civile mondiale da impoverimento di massa) sono causate dagli uomini. Di ciascuna minaccia possiamo sapere come si è originata, quali sono le sue cause, i fattori e quali agenti (singoli, stati, gruppi) e contribuiscono ad alimentarla e farla crescere. Eppure su tutti noi domina un paralizzante senso di impotenza. Proprio nell’epoca in cui tutti i più grandi problemi dipendono da azioni umane, noi ci sentiamo come schiacciati da entità sovrumane senza volto e senza storia: il “mercato economico e le sue leggi”, il “clima impazzito”, il “terrorismo senza fine”. È chiaro che problemi con cause storiche e sociali hanno vere soluzioni solo sul piano storico e sociale. Eppure oggi vi è profonda sfiducia nella capacità di una azione collettiva tra stati e tra gruppi sociali e si preferisce sperare in future e incerte invenzioni tecniche o nella guida di leaders forti. Tutto questo non basta e non basterà a salvarci dalle catastrofi future. Non si tratta più di saper scegliere i leaders giusti: nessun leader oggi puo’ essere ‘giusto’ cioè all’altezza di queste sfide planetarie senza forme nuove di partecipazione dal basso dei popoli.
Il secondo motivo per vincere l’indifferenza è legato alla necessità di <+nero>fermare la dis-umanizzazione e praticare l’incontro.
Tutti nasciamo umani ma impariamo in fretta a essere dis-umani, ovvero a trattare le persone come oggetti. Lo possiamo vedere con chiarezza in Tv, sul web ma anche nelle conversazioni quotidiane, sul tema della immigrazione, dove le parole e le immagini riducono le persone a meri corpi da: bloccare, contare ed etichettare, ‘immagazzinare’, smistare ed eventualmente dismettere. Il trattamento dis-umanizzante dello straniero è un sintomo di un approccio più generale al ‘fare società’ che pervade oggi tutte le sfere di vita ponendo una enorme sfida culturale e storica. Poter fare società senza relazioni sociali, senza creare legami, solo con un ‘coordinamento’ tra individui: questa è l’illusione dell’individualismo neoliberale, che porta a praticare sistematicamente il dis-incontro con l’altro, dis-umanizzando il sociale e bloccando la nostra crescita civica ed etica e la nostra progettualità. Dobbiamo liberare le energie e praticare sistematicamente l’incontro con l’altro, evitando la trappola di ‘tradurre’ l’incontro in un castello di emozioni.
Valter Chiani