“Se l’Europa chiude le porte ai rifugiati e alle popolazioni in fuga dalle guerre, faccia pure. Ma venga qui e si impegni a costruire la pace, come riuscì a fare dopo la Seconda Guerra mondiale”. Parole del direttore della Caritas Giordania, Wael Suleiman, ai Vescovi europei.
Già, perché il nocciolo sta proprio lì. Finché ci sarà la guerra continueremo ad avere masse enormi di rifugiati, disperati, gente che, a causa dei conflitti “in poche ore ha perso tutto, casa, proprietà, affetti”. Se hanno dovuto abbandonare tutto e con i loro figli (200.000 i minori che nel 2015 han bussato alle porte dell’Europa) affrontano il rischio della morte in traversate e viaggi assurdi, allora significa che nessun muro potrà fermarli e che l’unica vera soluzione sarà riportare pace e sviluppo nelle loro terre. Purtroppo, al di là delle dichiarazioni ufficiali, chiunque spenda anche soltanto mezz’ora del proprio tempo a cercar di capire cosa stia davvero avvenendo, facilmente comprende che ognuna delle parti in causa continua a perseguire i suoi interessi e le sue politiche, utilizzando la popolazione civile come ostaggio sia fisicamente sia con un falso pietismo.
Gran parte delle cause di queste migrazioni bibliche si potevano affrontare già da tempo. In questo modo si sarebbero potute prevenire tante sciagure o, almeno, mitigarne le conseguenze più crudeli.
Ma politici e media ci stanno portando verso un’opinione pubblica molto attenta alle conseguenze, ma per niente interessata alle cause di ciò che accade. Milioni di persone in movimento sono un problema, non c’è dubbio, sia per chi ha perso tutto, sia per chi accoglie. Diversa è la cultura, la lingua, a volte la religione, e politiche corrette d’integrazione per masse simili non s’improvvisano in poco tempo, ma oggi la prima emergenza, che nessuno persegue, è la pace dove c’è il conflitto che obbliga alla migrazione.
Se l’opinione pubblica chiede sicurezza solo per sé e non per chi oggi subisce violenza, si troverà la violenza in casa, perché un disperato non ha nulla da perdere. Occorre concentrarsi sul tema della pace, spegnere i conflitti. La politica deve muoversi. “Anche oggi, e prima che sia troppo tardi, – ha detto il Papa al corpo diplomatico – molto si potrebbe fare per fermare le tragedie e costruire la pace”. Ma occorre un movimento di popolo che spinga i politici a fare i politici, a trovare soluzioni vere ai problemi senza badare solo a raccogliere voti dalla “pancia” del popolo.
La comunità cristiana, anche quella riminese, è davvero impegnata a rispondere a questa “chiamata alle armi” del Vangelo che da tempo, ogni giorno, il Papa sollecita?
Giovanni Tonelli