“Per una Chiesa attenta ad ogni persona”. Con questo stesso titoloil Ponte del 6 maggio 1979 annunciava l’istituzione dei primi 40 ministri. A quasi quarant’anni di distanza, la Diocesi sta vivendo un percorso di verifica sui ministeri istituiti e sulle nuove ministerialità.
Domenica 21 febbraio, in una Sala Manzoni stracolma, si è tenuto il convegno diocesano dei ministeri e venerdì 26 febbraio in seminario, l’assemblea del Presbiterio per una riflessione sui ministeri e le nuove ministerialità. Abbiamo chiesto a don Andrea Turchini, che è intervenuto in ambedue gli appuntamenti, di aiutarci a fare il punto della situazione.
Perché la nostra Diocesi ha fatto la scelta dei ministeri e qual è la situazione attuale?
“La Diocesi ha fatto la scelta dei ministeri nel 1978 durante un’Assemblea diocesana a cui le parrocchie si erano preparate. Si viveva il decennio dedicato dalla Chiesa italiana all’evangelizzazione e, l’anno precedente, era stato pubblicato Evangelizzazione e ministeri – un documento ancora molto attuale – nel quale si parlava della presenza dei ministeri come di un’opportunità per rendere più capillare la presenza della Chiesa. La nostra Chiesa colse questa opportunità. Dopo l’assemblea, subito si pubblicò un direttorio e si partì con un corso di formazione che portò una quarantina di persone a ricevere il ministero nel maggio del 1979”.
Quanti sono oggi?
“Attualmente i ministri istituiti sono circa 345 (238 accoliti e 107 lettori), mentre i ministri straordinari della comunione sono circa 834, in maggioranza donne. Le donne infatti, seconde le norme attuali, non possono accedere ai ministeri istituiti, mentre possono ricevere il mandato per portare la comunione ai malati”.
Se sono così tanti, perché è necessaria una verifica e una riforma?
“La realtà della Chiesa sta cambiando velocemente. Un’accelerazione importante è venuta dalla Evangelii gaudium con un invito pressante a riformare la Chiesa in uscita missionaria. Questi ministeri, voluti in Diocesi proprio per una prossimità al vissuto delle persone, oggi li ritroviamo piuttosto rinchiusi in un servizio organizzativo alle comunità. La colpa non è la loro, ma è la vita delle nostre comunità a ritrovarsi piuttosto ripiegata all’interno. Mentre l’invito all’evangelizzazione e la prospettiva della pastorale integrata ci richiamano ad uscire, tutti avvertiamo un certo timore e molte resistenza”.
Dunque questi ministri saranno chiamati a diventare più missionari?
“In una comunità che interamente è chiamata alla missione, i ministeri, ognuno secondo la propria vocazione specifica, saranno chiamati ad impegnarsi in prima linea. Non abbiamo alcun bisogno di accoliti che rimangano nelle sacrestie o lettori che non sono proiettati nella pastorale biblica. La liturgia e i momenti di formazione biblica che si stanno diffondendo nelle zone pastorali, dovranno trovare in questi ministri e in coloro che si avvicineranno al ministero nei prossimi anni, i primi animatori. Questo sarà un criterio importante per il discernimento della vocazione al ministero”.
Parlare di vocazione non è esagerato? Non si tratta di un servizio fatto alla comunità?
“Questo è uno dei fraintendimenti che ha rischiato e rischia di snaturare il ministero vissuto dai laici: quello di ridurlo ad un semplice servizio come altri, quando non addirittura ad una onorificenza. Sono i documenti della Chiesa che ci ricordano che l’origine del ministero è soprannaturale e l’assunzione di un ministero è stabile e pubblica. Sono termini che ci richiamano in modo molto chiaro ad una prospettiva vocazionale. Non è un caso che la prima istituzione, nel 1979, fu celebrata nella Giornata mondiale delle vocazioni e che al Centro diocesano vocazioni venne affidata la cura e la formazione dei primi ministri. In principio le cose erano molto chiare”.
Ma come si diventa ministeri? Come accade questa vocazione?
“È sempre molto difficile definire come accade una vocazione, perché il Signore agisce nei modi più fantasiosi nella vita delle persone e delle comunità. Noi possiamo dire quali sono gli elementi che non possono mancare sul piano personale e comunitario.
– La vocazione al ministero nasce in una comunità che vive il Vangelo ed è aperta alla missione: è la condizione per una ministerialità che non si risolve nel volontarismo individuale e che non cerca manovali che facciano cose; il ministero non sopporta autocandidature.
– Una comunità protesa all’evangelizzazione, in comunione con la Chiesa diocesana, si fa interrogare dalle esigenze del territorio in cui vive ed individua le necessarie ministerialità attraverso un processo di discernimento comunitario: quali sono le soglie (i vissuti) su cui ci sentiamo chiamati all’evangelizzazione? Chi nella nostra comunità può essere chiamato ed inviato per evangelizzare questi adulti? Quale ministero antico e nuovo possiamo individuare per corrispondere a questa domanda di Vangelo?
– Dal discernimento comunitario si passa al discernimento vocazionale vissuto, prima di tutto, nella comunità. Sarà la comunità che, consapevole delle esigenze di annuncio e conoscendo le persone che la compongono, individuerà le persone idonee per quel particolare ministero (secondo il modello indicato da Atti 6 e 13)”.
Poi inizia la formazione. Qualcuno, anche tra i preti, la ritiene troppo esigente…
“Accade che, poiché ci troviamo sempre in emergenza per provvedere alle esigenze delle nostre comunità, ci sembra che il tempo dedicato alla formazione sia tempo sprecato. Molti si accontenterebbero di avere delle competenze di base per poter svolgere in modo accettabile il ministero ed essere ritenuti idonei.
Invece crediamo che, per chi si avvicina al ministero, serva molto di più in termini di formazione spirituale, teologica e pastorale, perché è chiamato ad essere presenza viva di Cristo presso le persone o le piccole comunità che dovrà servire. Anche sulla formazione stiamo portando avanti una riflessione, non per abbassare il tiro, ma per renderla più integrale, più accessibile e più adeguata alla situazione ecclesiale attuale (zone pastorali e missione)”.
Come vedi il futuro dei ministeri?
“Credo che stiamo vivendo uno straordinario tempo di grazia. La riforma della Chiesa in uscita missionaria ci pone di fronte a sfide inedite per la tradizione ecclesiale recente. Dobbiamo avere il coraggio di fare quel passo a cui il Papa e i vescovi italiani, prima di lui, ci hanno invitato. Viviamo in un tempo di missione e di nuova evangelizzazione. Ancora abbiamo a disposizione tante risorse per essere comunità che evangelizzano e che accolgono la sfida di una presenza capillare al servizio di ogni persona che desidera o si apre all’esperienza della fede per divenire a sua volta missionaria.
I ministri istituiti e i ministri straordinari della comunione potranno essere tra i protagonisti e i primi corresponsabili di questa grande impresa ecclesiale a cui tutti siamo chiamati. Ma molti passi di questo processo di riforma dipendono da scelte coraggiose che siamo chiamati a fare oggi”.
(re)