Voucher – Il funzionamento è semplice, così come il possibile raggiro. Nati nel 2008 per combattere il nero e regolarizzare attività saltuarie come le raccolte nei campi, i servizi domestici e le ripetizioni, i buoni-lavoro, meglio noti come voucher, acquistabili dalle aziende anche in tabaccheria, oggi piovono a milioni sulla testa dei lavoratori riminesi. Dai 391mila utilizzati nel 2013, sono saliti a 845mila nel 2014, fino a superare il milione e mezzo (1.592.000) nel 2015. E proprio i servizi per cui erano stati concepiti, oggi ne contano briciole: le attività agricole ne registrano appena 6.770 (0.4% del totale utilizzato nel 2015), giardinaggio e pulizia 24.337 (1.5%), lavori domestici 25.043 (1.5%), manifestazioni sportive e culturali circa 46.992 (2.95%). Niente in confronto al turismo, passato dal 2013 al 2015 da 74.785 a 476.328 voucher (30%), e al commercio (da 102.861 a 296.288, il 18%).
Grazie alle liberalizzazioni concesse dagli ultimi governi, questi buoni oggi si estendono alle imprese di tutti i settori. Ma spesso sostituiscono posizioni tutt’altro che saltuarie, coprono il nero e un loro utilizzo irregolare non è nemmeno facilmente smascherabile dagli enti preposti al controllo come sottolinea un’inchiesta del nuovo numero di TRE, in uscita la prossima settimana con ilPonte.
La storia. Sandra (il nome è di fantasia ma la storia è tutta vera) ci ha avuto a che fare tre volte nella sua vita professionale. In un bar è stato tutto regolare: a 40 ore di servizio settimanale corrispondeva un voucher da 40 ore.
“Mi hanno presa con i voucher per il periodo di prova, poi mi avrebbero assunta con un contratto, ma ho trovato altro”.
In un altro bar, invece, è stata chiamata durante il periodo natalizio come personale extra.
“Ho svolto 42 ore di lavoro settimanali, di cui 38 pagate in nero e 4 con i voucher”.
Infine un negozio, un paio di mesi in estate, soprattutto nei week end.
“Lì era tutto in nero. Non ho mai visto un voucher. Loro ne avevano fatto richiesta, da quello che mi hanno raccontato li hanno presi. Però, non passando controlli, li tenevano lì…”.
Come funzionano? Questi buoni-lavoro costano al datore 10 euro ciascuno e corrispondono a un’ora di lavoro. Al lavoratore vanno 7.50 euro; 1.30 sono per contributi pensionistici, 0.70 per l’assicurazione da infortuni, 0.50 per la gestione del servizio. Chi ha un’attività può registrarsi all’INPS e acquistare i buoni lavoro in una sede dell’Istituto di previdenza, oppure on line, alle poste, o al tabacchi (quest’ultima è la modalità più usata). Dovrà indicare un periodo di validità, da un giorno a un massimo di un mese, poi comunicare i dati del lavoratore e l’effettiva attivazione, che si può fare anche il giorno in cui si comincia, uno dei maggiori vantaggi dichiarati dalle imprese che ne fanno utilizzo. Ma sui voucher non è indicato l’orario di lavoro, solo il periodo. Non è raro quindi che succeda come a Sandra: si paga una parte di ore con i buoni, e il resto in nero.
Diritti negati. I voucher non prevedono malattia, ferie, maternità, TFR, sussidi di disoccupazione.
“È un metodo bieco per nascondere anche del lavoro nero: li tengo nel cassetto e all’occorrenza li tiro fuori” denuncia Isabella Pavolucci della CGIL di Rimini.
“Non c’è possibilità di prevenire e denunciarne l’utilizzo, perché se un lavoratore per un mese lavora con i voucher (e abbiamo anche casi peggiori), non abbiamo degli elementi per contestare che è di fatto un lavoratore dipendente. Se è stato sotto il tetto previsto dalla legge, è a posto come rapporto di lavoro”.
L’unico limite è che non si può lavorare per più di 7mila euro netti di voucher l’anno (prima del Jobs act il limite massimo era di 5mila), di cui 2mila ricevuti dallo stesso committente. Se il datore rispetta il tetto di 2mila per ogni lavoratore, è a posto. Pavolucci spiega il nonsenso di definire “accessorio” un impiego solo in base al reddito. Ci sono donne delle pulizie che hanno regolari contratti part time da pochissime ore, a tempo indeterminato, con i quali non raggiungono i 7mila euro annui.
“Il problema è che con la deregolamentazione selvaggia i voucher stanno sostituendo rapporti di lavoro subordinato”.
Massimiliano Chieppa, Ispettore del lavoro della Direzione di Rimini, conferma. In caso di ispezione, se non c’è la collaborazione del lavoratore – che è la parte debole – non si può provare un uso scorretto.
“Quando si va in azienda il lavoratore non è disponibile a raccontarla tutta. Non ricordo qui una denuncia di voucher utilizzati male”.
Oltre alla crescita costante e impressionante dei voucher negli ultimi anni, poi, salta agli occhi che il 36% del totale venduto nel 2015 non è censito per settore, altro segno della difficoltà a controllare il fenomeno.
Il caso voucher è arrivato comunque in Parlamento. Tiziano Arlotti, deputato PD, ha presentato una interrogazione per monitorare e contenere il fenomeno, ricevendo aperture dal Ministro Poletti su possibili modifiche alla legge.
Gabriele Rodriguez