Con piacere e sorpresa ho visto che il Ponte ha dato inizio a un dibattito per trattare un problema importante per la Chiesa: la carenza di vocazioni alla vita presbiterale. Sono Gianni Berardi. Forse, alcuni, ancora si ricordano di me e conoscono la scelta che ho fatto, per cui si chiederanno perché mi intrometto in un discorso che ormai non dovrebbe più riguardarmi. Consapevole di essere un “ex” per il Diritto canonico, per il Sacramento ricevuto sono ancora prete e giuro di non avere mai smesso di interessarmi della vita della Chiesa, del bene che Essa fa e dei suoi problemi. Sulla mia scelta di vita, diversa da quella che avevo intrapreso, ancora non mi so dare una risposta. Forse avevo “costruito sulla sabbia” e non so dire altro, per cui accetto sia giudizi severi sia le pacche di solidarietà sulle spalle.
Ora vivo in una diocesi dei Castelli Romani dove da venti anni non viene ordinato un prete. I pochi rimasti sono anziani, coadiuvati da preti di ogni parte del mondo, che suppliscono come possono. Qui la mancanza di vocazioni è grave. La Comunità prega tanto perché ci siano preti, ma sembra che il Signore non ascolti. Vuole forse portarci al collasso, come fece con gli ebrei permettendo l’esilio in Babilonia, per rinnovare il nostro animo?…
Il mio contributo al dibattito de il Ponte parte dalla convinzione che i cristiani non devono cercare risposte nella sociologia o altro, ma nel Vangelo.
Don Andrea Turchini scriveva (n.2 p.18): “In tanti anni di servizio in seminario /…/ ho incontrato molti che si sono presentati per iniziare questo cammino perché – grazie a Dio – avevano incontrato sul loro cammino dei preti significativi che avevano infuso in loro una passione per il Signore e per la missione della Chiesa sulla quale volevano giocare la loro vita”.
Ritengo importantissima questa affermazione, perché indica un metodo fondato su un “incontro”, che penso sia la chiave per suscitare interesse alla vita ministeriale. La missione del prete è aiutare le persone a incontrare quello stesso Signore che lui ha incontrato e amato e che lo ha condotto a spendere la vita per Lui e per la Chiesa, cioè per il Popolo di Dio. Qui è la radice di ogni vocazione: l’incontro, che predispone la persona all’ascolto fiducioso, a una risposta sincera, all’accoglienza dell’azione di Dio e all’accettazione del suo progetto di salvezza.
Però la vocazione non si concretizza a senso unico (ministeriale), ma in numerose, diverse direzioni. “Uomini (e donne) di fede” sono tutti coloro che hanno incontrato e conosciuto il Signore della loro vita, non dominatore e padrone, ma Padre, Fratello, pieno di Amore e di misericordia, che rende liberi coloro che Lo scelgono e Lo accettano, rendendoli uomini disponibili e pronti a essere “anime del mondo”.
Nelle nostre Comunità ci sono tanti uomini (e donne) così. Io ne ho conosciuti. Questi “uomini di fede” hanno un lavoro, conducono onestamente e con responsabilità la vita quotidiana, vivono in famiglia o hanno una famiglia, partecipano attivamente alla vita ecclesiale, sono animatori nella comunità…
Ecco: questi potrebbero essere chiamati (vocati) al servizio ministeriale anche come presbiteri, pur rimanendo nel loro stato, anche se si trattasse di uomini sposati. Questi uomini di fede, non saranno forse un riferimento e una testimonianza valida per giovani che, a loro volta, vorrebbero dedicare la vita al servizio ministeriale?
La chiamata è personale, diretta, fatta dal Vescovo, come Gesù ha chiamato i suoi discepoli, per nome e singolarmente, scegliendoli nella loro quotidianità: il lavoro di pescatori.
Da tanto tempo penso queste cose e so che molti Vescovi, con parrocchie sprovviste di preti, ci pensano: chiamare “uomini di fede”, anche se sposati, per svolgere il ministero sacerdotale.
Però sono convinto che questa strada, se percorsa, non può e non deve essere una tecnica per dare risposta a un problema, semmai è importante capire, con l’aiuto dello Spirito Santo, se è un metodo evangelico, se nel Vangelo ha radici e fondamento. Per questo la mia riflessione rimane tale ed è proposta a tutti perché diventi preghiera e meditazione; e poi soluzione.
Questo evidenzia ancora di più la necessità di uomini e donne che accettino di donare la vita completamente al servizio ministeriale con la “radicalità” che spesso richiede il Vangelo: lasciare tutto per una totale disponibilità all’annuncio e al servizio.
Don Romano, nella sua lettera, ricorda l’origine della sua vocazione: il desiderio di imitare il parroco e di entrare in seminario. Allora la comunità era un luogo di riferimento importante per un adolescente: la preghiera, il gioco, lo studio, la vita assieme ad altri ragazzi avvincevano. Dal seminario pieno uscivano molti sacerdoti.
A mio parere oggi, scomparsa la comunità sociologica, dovrebbe diventare ambito di riferimento la “comunità pastorale”, dove i preti finalmente vivono assieme formando una comunità, una famiglia. Non vivono più soli: condividono gioie e speranze con i confratelli e con le loro comunità. Condividono la gioia di aver incontrato un Signore che ha cambiato radicalmente la loro vita e aiutano i fedeli a incontrarLo a loro volta. La “comunità pastorale” formata da “uomini e donne di fede”, forma a sua volta uomini e donne di fede, e diventa impulso a donare la vita al Signore in qualsiasi stato la si voglia spendere. È il luogo naturale di riferimento e di formazione per chiunque voglia ponderare la propria vocazione. Una “comunità pastorale”! Anche Papa Francesco ha scelto di vivere a Santa Marta, assieme ad altri confratelli e consorelle, rinunciando a una vita in solitudine. I nostri giovani hanno paura proprio di ciò: la solitudine.
Cito e rifletto sulla chiamata di Maria, fondamento di ogni altra vocazione. Lc 1,26-27 – Maria è una ragazza di un modesto paesino, in attesa di sposarsi. Normalissima situazione, nella quale si avvera ciò che è lo straordinario in assoluto. Lc 1,30-35 – Avviene un incontro. C’è una chiamata. Lc 1,38 – Maria dà una risposta di immediata disponibilità. Gv 1,14 – Nel “sì” ecco l’evento straordinario: Dio si incarna, si rivela agli uomini, li salva. Il suo Corpo sarà la Chiesa.
Gianni Berardi