Il prossimo ottobre i cittadini potrebbero essere chiamati ad esprimere il proprio parere attraverso un Referendum confermativo, sulla riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi. Il disegno di legge relativo alla riforma mira all’introduzione di un bicameralismo differenziato, superando l’attuale bicameralismo paritario. In tal modo il Parlamento, sempre mantenendo la Camera dei Deputati e il Senato, avrà una composizione diversa ma anche funzioni differenti. Con questa riforma si dà anche un nuovo impulso alle Regioni in relazione alla diminuzione del numero dei senatori. Il Comune di Rimini assieme alla CGIL e al Comitato “Salvare la Costituzione”, ha organizzato due incontri per parlare dell’argomento. Durante il primo appuntamento, Domenico Pazzini del Comitato di Rimini Salvare la Costituzione, mostra il proprio lavoro di studioso e ricercatore sul tema.
Di che cosa si occupa il Comitato?
“Il Comitato nasce nel 2006 in occasione della riforma allora proposta dal Governo Berlusconi e da tre anni ci riuniamo periodicamente nella sede della CGIL di Rimini per studiare la Costituzione e ragionare su quelle che sono le modifiche che si vogliono apportare. In questo periodo in tutta Italia si stanno formando molti comitati a favore del NO alla riforma Renzi, ma la nostra posizione è differente. Non vogliamo entrare in conflitto o competizione con le altre associazioni ma desideriamo rimanere autonomi dalle prese di posizioni nette e precise. Questo perché a noi ricercatori interessa studiare e analizzare tutte le proposte di riforma costituzionale che si susseguono. Vogliamo comprendere il nocciolo delle nuove proposte con ragionamenti obiettivi e oggettivi e di conseguenza informare il cittadino”.
In che modo si analizza la Costituzione?
“Per comprenderne l’essenza nella sua forma definitiva, abbiamo fatto una ricerca per capire in che modo venivano concepiti i senatori e le unità territoriali durante i dibattiti della Costituente avvenuti nel 1946 e nel 1947. Già dalla prima seduta si tentava di capire quale peso dare alle unità territoriali e infatti in principio l’elezione dei senatori sarebbe dovuta essere affidata alle Regioni. Il fatto che durante le discussioni della Costituente dall’elezione dei senatori a livello prettamente regionale si sia passati all’elezione diretta da parte dei cittadini, è espressione del tempo in cui queste discussioni sono avvenute. La paura del rafforzamento delle Regioni e di conseguenza dei regionalismi è vista nell’ottica dello spauracchio del fascismo. Rafforzare i particolarismi avrebbe potuto favorire la nascita di nuove corporazioni a stampo fascista. La guerra era appena finita e questo ha influito molto sulle decisioni. Si temeva inoltre una frantumazione dello Stato. Purtroppo però in questo modo quello che ne esce è una differenziazione assai ridotta tra il Senato e la Camera dei deputati, elette entrambe a suffragio universale, con l’unica diversificazione operata mediante il limite di età imposto per l’elezione dei senatori, quello dei 25 anni”.
Dopo Pazzini, a prendere la parola è stato Vincenzo Satta, ricercatore di Diritto costituzionale presso l’Università Cattolica di Milano.
Questa riforma comporta delle novità importanti per i cittadini?
“Le novità che questa riforma introduce non sono solo relative alla diminuzione del numero di senatori, ma sono anche di altra portata e riguardano direttamente le Regioni e di conseguenza i cittadini. Basta pensare che con il superamento che si vuole attuare con la riforma a proposito dell’attuale sistema di bicameralismo paritario, il Senato diviene organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Le istituzioni territoriali e locali sono la rappresentanza delle forze vive del Paese, le forze sociali ed economiche di un territorio. Come accade in Germania o in Svizzera dove la logica del bicameralismo imperfetto è quella di avere un organo decidente che rappresenta in Parlamento interessi diversificati. Da una parte i deputati che rappresentano gli interessi della Nazione, dall’altra rappresenta gli Stati attraverso il Senato, e quindi non i cittadini degli Stati. Nel nostro caso si tratta delle Regioni. A mio avviso la modificazione del Senato, così come concepita da questa riforma, non va a ledere la Costituzione. Anzi, in un certo modo è maggiormente in linea con i principi su cui si basa la Costituzione stessa e su come in principio è stata concepita. È una forma ulteriore di implementazione del patto costituente, perché ricordiamo che con l’articolo 5 l’Italia riconosce e promuove le autonomie locali. Paradossalmente questa nuova forma di rappresentanza del Senato, così come concepita dalla riforma è finalmente la vera valorizzazione dell’articolo 5. A mio avviso, non vi è alcuna aggressione al Patto costituente”.
Ma quali saranno queste modifiche?
“Il numero dei senatori passa dai 315 attuali a 100 ed è così composto: 74 sono consiglieri regionali, 21 sono Sindaci e 5 è il numero dei senatori nominati dal Capo dello Stato e rimangono in carica per 7 anni; i senatori vengono eletti dal Consiglio regionale in sede di elezioni amministrative; l’iter di approvazione delle leggi viene modificato notevolmente, rendendo il procedimento più veloce, poiché il Senato non avrà più la possibilità di votare a favore o contrario alle leggi formulate dal Governo; il Senato non avrà più la possibilità di dare la fiducia al Governo o di toglierla, ma avrà più potere in ambito di enti locali, come le Regioni, potendo legiferare con più libertà; in definiva, verrà poi abolito il CNEL, ossia il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, organo consultivo del Governo in materia economica e sociale istituito nel 1957 e composto da esperti e rappresentanti delle categorie produttive dello Stato”.
Sara Castellani