Otto giovani su dieci, in Italia, cercano lavoro on line. Ma non conoscono i rischi legati ad una presenza “sbagliata” sul web. La “reputazione digitale” conta sempre di più nella selezione dei candidati e un datore su tre li esclude dopo aver visto profili inadeguati sui social network
Un datore di lavoro su tre esclude candidati che bussano alla sua porta dopo aver visto i loro profili sui social network. Galeotto fu quel “tweet” e chi lo scrisse. A quanto emerge dall’indagine di Adecco Italia di recente pubblicata, l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro si è spostata in gran parte sul web. Oggigiorno ad un colloquio è facile pensare che, tra chi sfodera il proprio curriculum e chi lo esamina, sia in corso una guerra a chi ha spiato di più l’altro online.
I motivi per cui i recruiter (gli addetti alla selezione del personale) ricorrono ai social network sono: trovare conferma dei contenuti dichiarati dal candidato nel curriculum, spulciare la sua rete di contatti e controllare ciò che pubblica. Dall’altra parte, chi cerca lavoro li utilizza per diffondere il proprio materiale, coltivare contatti professionali e migliorare il personal branding (il sapersi “vendere”). Finisce così che, mentre i centri per l’impiego trovano il lavoro ad una spicciolata di ragazzi (secondo un’indagine Isfol Plus di qualche anno fa solo il 3,4% di loro li utilizza), oggi l’8,4 per cento trova lavoro grazie ai social network, e la maggior parte lo fa con lo smartphone (sei su dieci). Come a dire, il sogno per il futuro non sta più nel cassetto ma nel taschino.
Nicoletta Bressa, candidate manager di Adecco, seleziona personale ogni giorno e ci aiuta a capire come sta cambiando il mondo job-matching con un occhio di riguardo alla situazione di Rimini.
Bressa, come siamo arrivati a questa rivoluzione del modo di cercare lavoro?
“Abbiamo assistito a tre fasi. Un tempo i candidati si presentavano all’agenzia di lavoro col curriculum cartaceo. Poi la ricerca si è spostata sui siti internet per annunci di lavoro (come Monster). Negli ultimi due anni, invece, si è diffuso l’utilizzo dei social network: strumenti molto più dinamici. A confronto, le job-board (i siti di annunci, ndr) risultano essere più statici, non offrono informazioni sull’azienda o su come procede l’iter di selezione”.
Quali sono i social più utilizzati?
“Facebook e, in modo particolare, LinkedIn che nell’ultimo periodo è diventato utilizzato da entrambi le parti: candidati e recruiter”.
In che modo le aziende utilizzano questi strumenti?
“Su Facebook sono presenti attraverso le pagine aziendali con cui mettono in evidenza le diverse tipologie di attività, ma il fine è più che altro quello della comunicazione. Al 90 per cento, invece, ricorrono a LinkedIn dove, oltre al profilo aziendale, possono dare spazio ai propri annunci di lavoro e agli eventi organizzati”.
Qual è il vero punto di svolta dai siti internet per annunci ai social network?
“Con Facebook e LinkedIn (ma non solo) tutto ruota attorno alla digital-reputation. Il candidato non presenta più solo un curriculum, ma la propria ‘reputazione digitale’, ed è quella che l’azienda va perlustrando. Ed è solo attraverso i social network che può essere ricostruita”.
Questo significa che un datore di lavoro non guarda solo l’elenco puntato delle nostre esperienze lavorative, ma cerca indizi sulla nostra personalità?
“Esattamente”.
E se vede foto della sera prima che ci ritraggono a casa di amici con una fila di bottiglie di vino vuote di fianco…
“…Non ci facciamo una bella figura!”
Ma allora come curare al meglio la propria reputazione online?
“È importante prestare attenzione a come si presenta il proprio profilo, a partire dalla foto profilo. LinkedIn è un’evoluzione del curriculum e va curato come tale. È poi importante spiegare nel dettaglio l’esperienza lavorativa e formativa pregressa. E bisogna sapersi muovere tra i gruppi…”
Ci spieghi meglio?
“I recruiter vanno sempre a vedere quali aziende vengono seguite dal candidato e a quali gruppi si è iscritto. È un modo per vederlo agire, per sondare i suoi gusti, conoscere come si muove sul mercato e quali contatti può portare all’azienda. In sostanza, serve a capire meglio chi può trovarsi di fronte. Le referenze non bastano: le scelte che facciamo sui social network restituiscono una fotografia più chiara di noi stessi”.
Quali sono gli errori più comuni commessi dai candidati?
“Le foto in costume da bagno su LinkedIn o i post poco seri pubblicati su Facebook. Su quest’ultimo invitiamo sempre ad impostare filtri per la privacy in modo che i contenuti più privati rimangano tali. Facebook permette infatti di decidere quali informazioni far vedere agli utenti. Se si decide di rendere pubblica una foto, evitare uno scatto imbarazzante”.
Basta questo accorgimento?
“Purtroppo no. In rete tutto può diventare virale. Una nostra fotografia postata da un amico, ad esempio ad una festa, può essere ri-postata da altri e finire fuori controllo. Non solo è fondamentale prestare attenzione a come si costruisce il proprio profilo, ma bisogna anche essere accorti nei confronti dei contenuti pubblicati da altri che ci possono riguardare”.
Immagino che un datore di lavoro o un recruiter che approda sul profilo Facebook di un ragazzo si immagini di trovare un “clima” più informale rispetto al profilo LinkedIn. Ma quanto possiamo concederci di essere più… sbottonati?
“Un conto è essere informali e un conto è perdere completamente di vista i criteri della buona educazione. Per stabilire fino a che punto possiamo spingerci, basta fare riferimento ai criteri che valgono per le relazioni nel mondo reale”.
Dalla vostra indagine risulta che 8 giovani su 10 cercano lavoro online. Ma sono consapevoli di quanto una presenza sbagliata sul web possa compromettere l’ottenimento di un impiego?
“C’è consapevolezza sull’importanza di LinkedIn, ma bisogna ancora lavorare sul modo in cui viene utilizzato Facebook. I ragazzi tendono a scindere le due realtà, e invece la digital-reputation è costruita dall’unione delle due. Quando li incontriamo ci chiedono tante informazioni al riguardo, segno che c’è ancora del lavoro da fare”.
E a Rimini come siamo messi?
“C’è interesse da parte dei candidati di Rimini sull’uso dei social network. Vengono in filiale chiedendo quali gruppi Facebook seguire per cercare lavoro. LinkedIn è in genere più utilizzato dai laureati, mentre Facebook è maggiormente diffuso fra tutte le categorie, ma la tendenza è analoga a quella di tutte le altre regioni. Tutti quanti compiono molti errori quando completano i propri profili”.
Il 64% dei recruiter usa il web per cercare candidati. Perché piacciono sempre di più i social network?
“Perché sono strumenti vivi, permettono di vedere come si muove il candidato. Sono veloci: se si incontra un candidato interessante lo si contatta direttamente tramite il social network. E poi consentono al datore di lavoro di raggiungere anche quei candidati ‘passivi’ che non cercano lavoro o che non si sono candidati spontaneamente alla propria offerta di lavoro; è solo grazie ai social network che oggi si può raggiungere anche questa fetta di potenziali dipendenti. Facebook, poi, viene utilizzato per verificare la coerenza di quanto espresso su LinkedIn e per completare così la digital-reputation del candidato”.
Mirco Paganelli