Quello che vediamo oggi – alle porte, tra l’altro- non è che un pallido ricordo dei fasti di un tempo. Il Carnevale, del XXI secolo tutto carri, sfilate di bambini colorati, feste in maschera in discoteca, castagnole e fiocchetti ha preso il posto di un momento di follia che coinvolgeva tutta la città; quando a girare per per le strade di Rimini non erano solo le signore della “buona società” ma anche ladri e balordi. A raccontarcelo è Manlio Masini nel suo Rimini in maschera, il Carnevale tra Otto e Novecento, edito da Pazzini che ripercorre le tappe importanti di questa festa che è anche un fenomeno culturale e che tra Otto e Novecento, appunto, ha cambiato faccia in modo sostanziale. Seppur le sue origini siano antichissime il Carnevale oggi si festeggia prevalentemente nei paesi a tradizione Cattolica e si colloca in quel periodo dell’anno liturgico tra l’Epifania e le Ceneri e precisamente nei giorni che precedono l’inizio della Quaresima: giovedì, domenica, lunedì e martedì.
Il bello di Rimini
Fin dai primi anni dell’Ottocento il Carnevale di Rimini si caratterizzava e in parte si identificava nella sfilata dei carri nel corso principale della città, da piazza Cavour sino all’Arco d’Augusto. Il centro storico si riempiva di persone mentre gli aristocratici, dall’alto delle loro carrozze, lanciavano fiori e confetti.
Più alti i battimani e le grida di giubilo e più regali venivano lanciati dai carri; tutt’intorno un efficente servizio d’ordine placava le esuberanze dei giovani e dei malintenzionati.
Poi accadde qualcosa. Masini segnala che: “Nelle ultime decade dell’Ottocento la nobiltà riminese si sottrae al corso mascherato e la sfilata perde quel tono brillante e nello stesso tempo austero del passato e tutto è lasciato all’improvvisazione e le mascherate diventavano sempre più volgari, tanto che il giornale Italia nel febbraio del 1885 sintetizza il Corso dei carri con queste parole: «corso orribile, guidato in massima parte dalla canaglia. Mascherate indecentissime, con delle scene le più vituperevoli per un paese che si rispetti». Una vera e propria sconcezza, che costringeva la gente a rifugiarsi in casa, perché se usciva, in carrozza o a piedi, correva il rischio «di rientrare con le vesti sudice di uova fradice, di patate e aranci putrefatti e qualche volta persino di ricorrere al nosocomio per farsi medicare le ferite».
I veglioni e le maschere
Ma il Carnevale non si esauriva con il passaggio dei carri. Veglioni e feste da ballo caratterizzavano l’intero periodo. Organizzate prevalentemente nei circoli ricreativi – il più famoso è il Casino Civico – spiccavano per l’eleganza e per le grandi personalità che vi prendevano parte. Pare che anche Gioacchino Murat sia passato da queste parti.
Dai giornali sappiamo che i costumi maggiormente indossati e apprezzati erano quelli spagnoli del Seicento e quelli in stile Luigi XV e Direttorio. Molto usati dalle signore i vestiti da zingara, da odalisca, da sultana, da monaca; poi ci sono i clown, i Pierrot, gli Arlecchino, i Pulcinella. Gli uomini, senza troppa fantasia, indossano i domino: grandi mantelli svolazzanti e di tutti i colori: il nero e il rosso quelli preferiti.
Il costume nelle feste di Carnevale non era obbligatorio. L’uomo, che non vuole indossarlo, si agghinda con il classico frac; le dame, invece, fanno sfoggio di stupende toilette con vertiginose scollature impreziosite da perle e gemme. Qualcuna, giusto per stare al gioco, adotta la visiera: una piccola, intrigante mascherina da apporre sul volto di tanto in tanto.
I balli nelle case private
Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento molte feste da ballo venivano organizzate anche nelle case private. Si ha testimonianza di quelle organizzate dal conte Giulio Cesare Battaglini, dal notaio Luigi Casaretto e in molte altre importanti case gentilizie. Passò alla storia la festa in casa Massani, del 1894, quando la serata venne impreziosita – allo scoccare della mezzanotte – di proiezioni di quadri artistici e vedute di città.
Gli spettacoli teatrali
Tra i divertimenti di Carnevale, un posto di prim’ordine spetta al teatro. Del resto, recitare, si diceva a quei tempi, è come mettersi la maschera. A partire dal 1857, anno di inaugurazione del prestigioso palco polettiano, che dall’Unità d’Italia prenderà il nome di Teatro Vittorio Emanuele II, il Municipio di Rimini è in grado di offrire alla popolazione rappresentazioni liriche e drammatiche di altissimo livello con la partecipazione di cantanti e attori di grido. Le stagioni teatrali sono due, quella estiva e quella di Carnevale, che prende il via in dicembre e termina con l’inizio della Quaresima.
a cura di
Angela De Rubeis