Le autorità del Giappone hanno confermato l’autenticità dei resti dell’Abate Giovanni Battista Sidoti (Sidotti, Sidot), ritrovati due anni fa durante i lavori di costruzione della zona di Tokyo, Kirishitan Yashiki, che ospitò la “prigione dei cristiani”. Siciliano partito da Roma, via Manila, arrivò nel Sol Levante nel 1708, dove morì martire nel 1715 l’ “ultimo missionario” recatosi in Giappone nel periodo del “sakoku” (chiusura ermetica al resto del mondo).
Della sua testimonianza si è fatto portavoce, di fronte alla comunità cattolica giapponese e a quella universale, padre Mario Canducci, originario di Torre Pedrera e da 50 anni missionario francescano in Giappone.
Le spoglie del Sidotti e dei due anziani sposi che furono martirizzati con lui, furono trovate per caso verso la fine di luglio del 2014 durante gli scavi per la costruzione di un grande condominio della Mitsubishi.
Appena appresa da amici la notizia, padre Mario, che da qualche anno vive a Tokjo, si recò sul luogo, insieme ad una suora giapponese e ad una fedele. Lasciamo a lui la parola.
“Vidi le tre tombe segnalate, ma mancavano le ossa, prelevate dai responsabili dei beni culturali del Comune di Bunkyoku, uno dei 23 comuni che compongono la metropoli di Tokyo. Per telefono allora mi informai riguardo ai resti mortali e mi fu risposto che erano soggetti a vari esami presso il centro ricerche nazionali. Passarono vari mesi nei quali ricevetti risposte evasive, poi, l’1 ottobre 2015, mi fu concesso un incontro al Comune insieme al Vescovo ausiliare di Tokyo, mons. Giacomo Koda. I responsabili del Comune furono molto gentili, ci consegnarono materiale esplicativo fotografico delle tombe e spiegarono il modo con cui il centro scientifico procedeva con le ricerche archeologiche – antropologiche. Causa la decomposizione dei resti, l’esame era molto difficile e richiedeva tempo.
Il 4 aprile di quest’anno i mass media sono stati convocati per l’annuncio dei risultati definitivi. Il responsabile, signor Ikeda Etsu, mi invitò nel suo ufficio e me li anticipò in un colloquio personale, dichiarando trattarsi proprio dei resti mortali di padre Sidoti e mi fece festa. Poi all’improvviso da una grande borsa estrasse un sacco di vinile trasparente contenente terra nera con innumerevoli piccoli grani bianchi e lo pose sul tavolo. Fu un momento di grande emozione. Mi disse: “Ecco i resti mortali di Sidoti!”.
Gli chiesi di pregare in silenzio un momento poi egli ripose il tutto nella borsa e ci avviammo al 26esimo piano dove si teneva la conferenza stampa. Erano presenti il Sindaco, l’Ambasciatore italiano, il gesuita padre Koso dell’Università cattolica Sofia, i responsabili del centro di ricerche e decine di rappresentanti dei mass media.
Padre Koso spiegò brevemente la figura e l’opera di Sidoti che non era gesuita come molti erroneamente scrivevano, ma membro del clero diocesano di Palermo (verranno poi chiamati fidei donum). Il rappresentante dei ricercatori prof. Akio Tanigawa, dell’università di Waseda, annunciò ufficialmente che i resti mortali erano di un italiano di circa 180 cm del periodo 1700 e che gli altri due scheletri appartenevano a giapponesi. Seguirono domande e risposte dei mass media per più di un’ora. Anch’io fui intervistato dal giornale Asahi e dal giornale cattolico del Giappone e riferii che il comune di Bunkyoku in futuro avrebbe consegnato i resti alla Chiesa Cattolica, cosa che dovrebbe avvenire presto.
I mass media subito riferirono la notizia dell’importantissima scoperta. Il giorno dopo mentre ero impegnato in convento, ricevetti la richiesta di intervista da parte della radio Vaticana. In quella occasione descrissi in dettaglio tutto quello che era successo. Ora in vari gruppi la preghiera è che finalmente il nostro padre Sidoti possa trovare un degno luogo di culto, in preparazione al processo di beatificazione insieme a Chousuke e Haru.”
In passato la comunità cattolica giapponese non aveva preso iniziative per “valorizzare” l’area del Kirishitan Yashiki, anche perché si trascina dietro non pochi imbarazzi: lì vissero anche alcuni padri che abiurarono sotto l’insopportabile tortura dell’anazuri (esser appesi a testa in giù sopra una fetida buca), l’ultimo dei quali (morto poco più di 20 anni prima dell’arrivo del Sidotti) fu il gesuita Giuseppe Chiara. Alla vicenda di Chiara si ispira l’ultimo film, ormai imminente, di Martin Scorsese tratto dal romanzo di Shusaku Endo Silenzio.